Attualità e nuove sofferenze

VIOLENZA DI GENERE E REDDITO DI LIBERTÀ

Una iniziativa lodevole, ma insufficiente per rispondere alla complessità e alla pervasività del fenomeno della violenza sulle donne. Parte della somma potrebbe finanziare anche il sostegno psicologico.


VIOLENZA DI GENERE E REDDITO DI LIBERTÀ

 

 

 

Io sento il piangere delle cose.
Sento il piangere di tutte le cose. Strazio
sento delle.
Pianto sento delle

Io sento
Delle. Io pianto pianto.
Delle cose. Piangono. Sì.
Fatica sento sì. Arrancatura. Sì

                                                            (M.Gualtieri, 2003)

di Valeria Condino

Secondo i dati Istat, nel periodo compreso tra il 1Marzo e il 16 Aprile 2020 c’è stato un aumento del 73% dei casi di violenza domestica rispetto allo stesso periodo dell’anno 2019, con un aumento del 59% delle vittime che hanno chiesto aiuto rispetto all’anno 2019. Nel 2020, i femminicidi sono stati 116 (5 in più rispetto al 2019), mentre nel periodo 1gennaio - 19 settembre 2021, secondo i dati del Dipartimento di Pubblica sicurezza, dei 206 omicidi registrati, 86 vittime sono donne, di cui 73 uccise in ambito affettivo-familiare.  Il tema della violenza sulle donne, ampiamente dibattuto in occasione del 25 novembre anche sui nostri canali (https://www.spiweb.it/cultura-e-societa/cultura/25-novembre-giornata-internazionale-contro-la-violenza-sulle-donne/?fbclid=IwAR1xF-cUPhk82y3qXCKaiRpx29lhssMF1Tp9amlVN_oqX5uWuf-zRXZibrA) è un tema teorico ed empirico di interesse per le scienze sociali e per noi psicoanalisti, nonché tema di rilevanza fondamentale rispetto al dibattito pubblico e politico. Tuttavia gli interventi antiviolenza messi in campo finora nel nostro Paese non sono effettivamente adeguati e gli impegni presi dalle istituzioni in occasione della Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne spesso rimangono disattesi, incompleti o richiedono anni per vedere la luce, generando di frequente una certa sfiducia nelle istituzioni.

Nonostante queste premesse, l’8 novembre, l’Inps ha presentato i dettagli del cosiddetto “Reddito di libertà”, una misura economica introdotta con un decreto a dicembre del 2020; in risposta al preoccupante aumento di violenze domestiche durante i mesi del lockdown, il governo Conte per finanziarlo ha stanziato 3 milioni di euro, facenti parte del Fondo per le politiche relative ai diritti e alle pari opportunità istituto nel 2006.

È importante, a tal riguardo tener presente che una percentuale significativa di donne vittime di violenza domestica ritorna dal partner violento per le difficoltà economiche che affronta nel percorso di fuoriuscita. Soprattutto quando l’ex partner detiene il potere economico e sociale e il controllo completo sulle finanze e sulle risorse familiari. Molte donne, oltre ai traumi legati a una relazione abusante, devono fare i conti con i problemi emotivi e psicologici legati alle scarse risorse. Esiste una definizione ufficiale data dalle Nazioni Unite di violenza economica che dice: “l’insieme di atti di violenza finalizzati a mantenere la vittima in una condizione di subordinazione e dipendenza, impedendole l’accesso alle risorse economiche, sfruttandone la capacità di guadagno, limitandone l’accesso ai mezzi necessari per l’indipendenza, resistenza e fuga”.

Sulla carta si tratta di un’iniziativa lodevole – anche se i fondi stanziati (400 euro al mese per un anno) secondo i calcoli di D.i.Re, la principale rete di centri antiviolenza in Italia, sono troppo pochi. Al Reddito di libertà, infatti, potranno accedere al massimo 625 donne in tutta Italia, quando quelle accolte ogni anno nei 302 centri antiviolenza del Paese sono circa 50mila.

Secondo Rachele Damiani, Presidente dell’Associazione Casa delle donne Lucha  y Siesta e psicoterapeuta, differentemente dal precedente contributo della  regione Lazio (https://www.regione.lazio.it/rl/dallapartedelledonne/un-contributo-di-liberta-per-la-fuoriuscita-dalla-violenza-2/), in cui l’obiettivo era favorire la costruzione di  un progetto fatto congiuntamente tra la donna e il centro, che in taluni casi poteva prevedere anche l’utilizzo del contributo per una psicoterapia, quello attuale sembra maggiormente volto a divenire una misura meramente assistenziale. Il contributo è vincolato inoltre ad una certificazione dei servizi sociali, sebbene non tutte le donne seguite dai Cav siano seguite da questi, né tantomeno vogliano esserlo. In questo modo, non si fa altro che aumentare uno stereotipo. È importante sottolineare, prosegue Damiani, che nonostante le criticità menzionate, è essenziale prevedere misure che sostengano economicamente le donne nei loro percorsi di autonomia.

Riflettere sulla centralità dei CAV, che hanno la funzione di tenere le fila del percorso e attivare tutti i nodi della rete che si ritengono necessari e favorire linee d’intervento che possano tener conto oltre che delle necessità materiali, anche delle vulnerabilità psicologiche e dei vissuti traumatici con le figure addette, diventa parte fondamentale di un lavoro di rete che in sinergia anche con la nostra comunità psicoanalitica possa contribuire ad aprire un ulteriore spiraglio, che ci consenta di avere una lettura stratificata del fenomeno. Un lavoro congiunto risulta ad oggi l’unico modo per rispondere alla complessità e alla pervasività del fenomeno.

A questo proposito, Limen – centro popolare di psicologia clinica – che offre a titolo gratuito psicoterapia, consulenza psicologica, sostegno individuale e di gruppo a donne e minori seguite dal CAV Lucha y Siesta, ha lanciato il crowfunding Psicoterapia sospesa per sostenere dei percorsi di sostegno psicologico e di psicoterapia. Qui di seguito il link per sostenere il progetto https://www.produzionidalbasso.com/project/psicoterapia-sospesa-1/.



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