Sessualità in transito: nuovi paesaggi psichici?

L’importanza di interrogarci intorno a corpo, genere, sesso, desiderio e al legame che ci unisce e ci separa dall’altro rende necessario decostruire gli elementi che impediscono le singolarità di una appropriazione soggettiva. 

Tiziana Bastianini

 

Ogni partito preso mi è estraneo

 (Freud, 1914, p. 459)

 

L’esergo, posto in apertura di queste brevi riflessioni sottolinea lo spirito che ha dato luogo alle diverse iniziative realizzate. Tale esergo, dal mio punto di vista, rappresenta lo spirito psicoanalitico freudiano che ci ha ininterrottamente confrontati nel corso del tempo con la consapevolezza della provvisorietà di ogni verità clinico-teorica fondata su congetture passibili di potersi rivelare inadeguate a spiegare, di volta in volta, i “nuovi fenomeni” osservati.  

In questa prospettiva, la giornata di studio organizzata dai due Centri Psicoanalitici di Roma, a cui hanno partecipato con interesse e passione diversi candidati, vuole essere l’occasione per una ripresa e/o un prosieguo della riflessione intorno ai temi del sessuale, del genere, nelle loro complesse declinazioni attuali. Mi riferisco alla pluralizzazione psichica del soggetto sessuato che a partire dal problema posto dalle differenze sessuali (nella loro intricata genealogia storica, basti tenere a mente la voce altra del femminile), ha via via esteso le proprie propaggini attraverso la ricerca intorno ai temi quali genere, orientamento sessuale, sesso. La questione dell’umano e del suo costituirsi nei legami originari, attraversa numerose discipline, e il tema del genere, in dialogo con la dimensione sessuata dell’esistenza, ne rappresenta uno degli snodi più significativi.

Pur nella consapevolezza che il paradosso del genere non rappresenti un unicum da ritrovare a livello nucleare dell’individuo, tuttavia, esso costituisce un’esperienza nucleare dell’identità, in grado di creare attrito psichico, penso all’origine molteplice ed eterogenea della sessualità infantile che solo successivamente verrà organizzata nell’assunto genitale adulto. E’, in questa prospettiva, necessario sottolineare l’eterogeneità delle componenti psicosessuali e le variazioni del loro destino, per comprendere i rapporti tra affetto, sfera corporea e quella psichica. Se la sessualità allargata in senso freudiano (Laplanche, 2019), in primis la psicosessualità infantile, inconscia ed incarnata, al di là della differenza tra i sessi,  non  mera dimensione biologica dunque, è il paradigma della ricerca e dell’esplorazione che può trasformare qualsiasi funzione o luogo del corpo in zona erogena secondo la spinta della creatività inconscia del soggetto, parimenti diveniamo sempre più consapevoli che tale spinta rappresenti quel territorio di esposizione all’adulto che nutre e protegge all’origine della vita e contemporaneamente attiva desiderio e piacere e dunque ci espone ad una dipendenza totale. Esso, ci decentra e ci espone all’altro del cui sguardo, riconoscimento, amore, abbiamo necessità primaria. Una riflessione sul tema del riconoscimento, ci rende consapevoli di quanto non si possa separare il biologico dalla dimensione culturale, tra corpo incarnato e corpo simbolico. Inoltre, ci aiuta a comprendere come l’altro a cui ci riferiamo è un altro complesso, non necessariamente conchiuso nella diade, portatore di una storia, di un orizzonte futuro che fa dell’altro l’interlocutore di una complessa catena di investimenti, identificazioni, desideri, che solo fortuitamente e provvisoriamente si inscrive nella diade (come discusso da diversi autori, si rimanda a: Butler, Benjamin, Roussillon, etc).

Credo, in questa prospettiva, fondamentale proseguire ad interrogarci intorno al corpo, al genere, al sesso, al desiderio e al legame che ci unisce e contemporaneamente ci separa dall’altro fuori di noi, dall’altro in noi, dall’altro dell’altro, per procedere nella decostruzione degli elementi che impediscono le singolari ed uniche forme di appropriazione soggettiva, creando sofferenza in ogni singolo essere umano alla ricerca di quell’unicità psichica alla base del sentimento di sè che si colloca all’origine della vita, al di là della differenza dei sessi e dei generi.                                                                                                                        

Se la relazionalità è un evento costitutivo del sé del soggetto, iscritto nella dialettica del riconoscimento, tale relazionalità è la matrice sul cui sfondo prende forma la dimensione autopoietica del soggetto, capace di portare in campo la propria creatività inconscia, persino in un dialogo profondo con le generazioni che lo hanno preceduto. Se il genere appare l’elemento che perturba il pensiero, come ricorda Freud, la coppia in opposizione maschile-femminile è la più ribelle ed enigmatica, in essa infatti possono condensarsi numerose ragioni inscritte nel primato dell’altro. Altro, la cui assegnazione, all’origine della vita fa di noi quel bambino o quella bambina, prodotto del desiderio e dei fantasmi della coppia che l’ha concepito e generato. Tale processo, transitando per il vettore identificatorio deve giungere in ogni soggetto ad una condizione di riappropriazione soggettiva del genere in dialogo con il sesso; un dialogo interiore in grado di contenere aporie, contraddizioni, messe in latenza, sino a giungere a quelle possibilità integrative che la singola psiche consente. Ci chiediamo allora: viene prima il genere o il sesso? Cosa veicolano le cure corporee all’interno della relazione d’attaccamento? Quali affetti di piacere/dispiacere, fantasie, fantasmi, sono presenti nella psiche paterna, materna nel pensare il genere e il sesso del proprio figlio/figlia, in quale forma il loro desiderio inconscio sessuato entra in gioco in questa ipotetica assegnazione? Il genere pur essendo attribuito in origine, deve successivamente potersi collocare dal lato dell’Io o del soggetto e non dell’oggetto e della scelta d’oggetto. Mi tornano in mente le parole di un giovane uomo alle prese con le proprie dolorose tribolazioni e transizioni identitarie, egli in una certa fase così si esprimeva: “sono una donna perché così io mi sento, riconosco, in un corpo biologicamente maschile, chi potrà innamorarsi di questo bizzarro essere? Ed io mi innamorerò di un uomo come può una donna o come preso in una corrente omosessuale?”. Giunge spontaneo chiedersi: con chi è identificato il giovane uomo nel tentare di essere soggetto del proprio desiderio amoroso, o quando egli aspira ad esserne l’oggetto? È forse questa la precarietà e la complessità della logica binaria a cui alcuni teorici che si occupano di questi temi fanno riferimento? Forse, possiamo immaginare un caleidoscopio di prospettive in cui il desiderio e l’identificazione non debbano essere pensati come reciprocamente escludentisi, ma “ci fornisce anche un modo per descrivere come l’eterosessualità diventa il luogo della passione omosessuale, oppure per descrivere come l’omosessualità diventa il passaggio segreto per la passione eterosessuale?” (Butler, 2004).

A quale prezzo diventiamo quello che siamo? Quali sono le condizioni di crescita che consentono ad un individuo di esistere come espressione di “Io sono, io sono vivo, io sono me stesso” si chiedeva Winnicott?  Nella sua riflessione Butler (2004) ha sottolineato i costi psichici e sociali della esclusione che il soggetto mette in opera nell’espressione di parti di sé, sotto la spinta delle aspettative ambientali, per guadagnare un’identità accettabile, intelligibile, degna di riconoscimento. Se in parte la costituzione del soggetto passa attraverso il lutto di possedere ciò che è diverso da me, questo processo può compiersi in diversi modi a partire dalla pluralità e molteplicità dei processi identificatori. La bisessualità psichica, del resto, fu per Freud una questione centrale coerentemente con gli studi di biologia ed embriologia della sua epoca.

“La psicoanalisi si pone sullo stesso piano della biologia in quanto ipotizza una originaria bisessualità dell’individuo umano (nonché di quello animale). Essa, tuttavia, non può chiarire l’essenza profonda di ciò che nel linguaggio comune o in quello biologico è chiamato “maschile” e “femminile”, e deve limitarsi ad assumere questi due concetti ponendoli a fondamento dei propri lavori. Se tenta un'ulteriore riduzione, la mascolinità si dissolve nell’attività e la femminilità nella passività, il che è troppo poco” (Freud, 1920, p. 166).

Avventurarsi in una riflessione, qual è quella che ci accingiamo a svolgere, comporta la necessità di collocarsi in primis da un punto di vista epistemologico, al di là di ogni riduzionismo, oltre una visione contingente della costruzione culturale e sociale del soggetto, che indubbiamente ha il merito di reinterrogare la questione della naturalità del genere, del sesso, etc., inteso come assetto universale ed immodificabile, e dall’altra tenere a mente la necessità altrettanto significativa di far emergere la possibilità di contrastare una visione postmoderna secondo la quale tutto è frutto della costruzione sociale, in forma totalmente disincarnata e al di fuori di ogni catena affettiva. Ancora una volta, la Psicoanalisi, è chiamata ad interrogarsi sul rapporto conflittuale e sempre più complesso nell’evoluzione della specie umana delle numerose implicazioni inerenti il binomio natura-cultura, senza semplificazioni di sorta. Una riflessione che dialettizzi e metta in circolo ipotesi, pensieri, in modo complesso, a partire dallo specifico psicoanalitico che è la clinica con la quale ci confrontiamo ogni giorno. 

Ciò che desidero evidenziare, forse far emergere in modo chiaro, è che le relazioni tra sessualità, identità di genere e legami d’amore, poiché infine è questo che intendiamo esplorare, sono complesse. La sessualità allargata è la grande scoperta psicoanalitica e dobbiamo seguitare a chiederci per mantenere viva la nostra teorizzazione, se sia’ possibile tratteggiare un modello del sessuale, una metapsicologia ancora una volta ampliata, in grado di tener conto di un sessuale infantile con una propria polisemia libidica, ospitato permanentemente nell’adulto e in dialogo costante con le dimensioni dell’amore primario, dell’altro come referente, sia in senso diadico che triadico.  Vorrei ricordare a tale proposito l’individuazione da parte di Freud nei Tre saggi, della cosiddetta “pulsione di sapere o di ricerca” che dal suo punto di vista “non può essere annoverata tra le componenti pulsionali elementari né subordinata esclusivamente alla sessualità” (Freud, 1905, p. 502). Una fioritura delle forme d’amore per raggiungere e conoscere gli oggetti.

Nel volume della sua autobiografia Russell scriveva: “Ho cercato l’amore da principio, perché l’amore conduce all’estasi…..in seguito, ho cercato l’amore perché solleva dal peso della solitudine…… solitudine nella quale è caduto l’uomo….e non vede che un abisso senza fondo, gelido e vuoto. Infine ho cercato l’amore perché, nel legame amoroso, ho avuto una visione, una sorta di immagine mistica, che prefigura il cielo come i santi e i poeti lo hanno immaginato” (Russell, 1975, p.3).

Afferma Laplanche (2019): Il genere è plurale. È di solito doppio, con il maschile e il femminile, ma non lo è per natura. È’ spesso plurale, come nella storia delle lingue, e nell’evoluzione sociale. Il sesso è duale. È tale per la riproduzione sessuata.  Così come il piacere del gioco risiede nella possibilità di mantenere in una tensione dialettica realtà e fantasia e perde la piacevolezza quando una delle polarità collassa sulla base di una profonda scissione nella psiche, allo stesso modo la sessualità infantile con la sua forza creatrice e la spinta altrettanto fondamentale inerente la ricerca dell’oggetto, saranno ugualmente indispensabili al fine di mantenere integro il proprio sentimento di esistenza personale. 

La disposizione iniziale della questione è, dunque, il rimando necessario tra corpo e relazione, un corpo in costante dialettica tra autopoiesi e legame, uno scambio incessante che prende forma come necessità costitutiva della presenza complessa dell’altro, nel farsi di un soggetto. Ancora una volta, presenza dell’altro concepita precocemente sia in senso diadico che triadico, a tale riguardo è molto interessante il dibattito di Butler con le ipotesi portate in campo da Benjamin (Butler, 2004).  La riscoperta dell’importanza delle identificazioni preedipiche insieme a quelle edipiche, la possibilità che esse possano essere tenute in tensione dialettica nella psiche di ciascuno, potranno temperare il confronto con il limite e la differenza, senza esasperare la scissione, cristallizzandola nella polarizzazione di genere.

Continuiamo ad interrogarci sulle metamorfosi del sessuale in relazione al desiderio e alle forme che esso assume in questa fase storica. L’espressione del desiderio assume forme in cui le traiettorie tra investimento sessuale, genere, orientamento si divaricano, si pluralizzano. Inoltre, siamo sempre più consapevoli che il piacere a cui colleghiamo il sessuale può dipendere sia dall’eccitamento, che da un piacere relativo all’abbassamento di tensione. È rilevante, dal mio punto di vista, tenere a mente che il “disagio del sessuale” o le sue metamorfosi, sembrano muoversi lungo polarità apparentemente agli antipodi: da una parte osserviamo nella clinica contemporanea la caduta del desiderio che sovente conduce al disinvestimento della dimensione erotica. Giovani uomini e giovani donne, hanno sempre più timore dell’intimità che lega gli uni agli altri; dall’altra osserviamo l’espressione di un desiderio che nella ricerca del piacere insegue traiettorie che scompongono e pluralizzano il soggetto in una dimensione vorticosa, in cui l’importanza dell’oggetto attraverso il quale è ottenuto il piacere si attenua, fino a scomparire. Talora, diviene prioritaria la ricerca di un sentimento della propria esistenza che può sostenersi sulle sole esperienze sessuali.

L’amore era una religione anche al tempo di Lucrezio, uno stato che si riteneva indotto da un Dio per la sua potenza, capace di legare l’amante, all’amato. Nussbaum (1996) ci dice che nel nostro tempo, la passione erotica del singolo, visto che non c’è più quella su base religiosa, deve recare in sé tutta l’intensità del desiderio. Laddove, ormai, dobbiamo fare i conti solo con fragili progetti mondani che devono racchiudere tutte le speranze di una vita, un tempo rivolte al divino. Dobbiamo forse tornare a porci una domanda: qual è il motivo che nel corso della nostra storia ci ha condotto verso il “disincantamento” nei confronti dell’amore erotico-romantico vissuto un tempo dagli uomini e dalle donne come meta centrale, perlomeno di una parte della vita? Non è forse questa la temperie culturale e sociale entro cui si iscrivono le forme della fioritura dell’umano soprattutto in relazione al desiderio e all’affetto nelle loro declinazioni così precarie? Se il fine vero e proprio dell’amore che si esprime anche nella sessualità è raggiungere una prossimità che consenta un’intima corresponsione con l’altro, è pur vero che gli amanti che vivono il bisogno profondo dell’altro come dolorosa dipendenza, da cui sentono originarsi una debolezza, cercheranno di distruggere l’alterità dell’amato; vi è troppa sofferenza nell’essere consapevoli della propria incompletezza! Martha Nussbaum (2001) ci dice che la vita umana migliore è quella capace di assumersi il rischio della perdita e della sofferenza, in grado di entrare in contatto con eros come con i suoi pericoli.

Sosteneva Stoller (1968) che con la stessa sicurezza di un critico d’arte, avrebbe riaffermato la sua convinzione che la costruzione dell’eccitazione erotica, fosse altrettanto sottile, complessa, ispirata, profonda commovente, affascinante impressionante, problematica, radicata nell’inconscio e visitata dal genio della creazione di un sogno o di un’opera d’arte.

La clinica, quando riusciamo ad ascoltare i pazienti senza saturare il campo con i nostri pervasivi convincimenti (non alludo ad una posizione epistemologica di assenza di teoria come già poc’anzi ho affermato, forse si può solo ribadire la necessità di pensare ad una teoria debole in quanto provvisoria e sempre in attesa di essere riconsiderata alla luce delle nuove esperienze), ci insegna che tali scenari erotici complessi e talora ineluttabili, non soltanto consentono di salvaguardare il piacere sessuale, ma si presentano talvolta come peculiari forme di soggettivazione psichica, le uniche in grado di salvaguardare il sentimento di sé, di identità soggettiva.

Non abbiamo ancora sufficiente esperienza clinica in questo nuovo scenario della pluralizzazione del genere non necessariamente coerente con il sesso, del destino del sessuale allargato in adolescenza. Ad esempio, in quei soggetti che produrranno quella che viene attualmente diagnosticata (con tutta la problematicità connessa), come disforia di genere. In adolescenza infatti, le necessità di appropriazione soggettiva identitaria di genere e sessuale urgono per una potenziale definizione in cui essere “realmente se stessi” in una qualche possibile declinazione, anche plurale e fluida. Penso alle riflessioni di una madre di un giovane ragazzo che ha deciso di intraprendere una transizione sessuale verso la femminilità, è una madre consapevole dei vari impingement traumatici presenti nella storia del giovane uomo, soprattutto nelle relazioni problematiche intrattenute con gli oggetti primari, nella relazione con lei e con il padre. Ma c’è un elemento significativo, peculiare, di questa epoca storica: il giovane uomo sente la necessità di rifiutare un maschile svalutato e temuto con il quale non può identificarsi, non può appropriarsene per numerosi motivi individuali e sociali. Possiamo ipotizzare che l’identificazione con il femminile sia vissuta come in grado di riparare e consentire provvisoriamente una disidentificazione da quel maschile vissuto come un “non me”, la cui iscrizione si situa nelle pieghe di una storia relazionale turbolenta e scarsamente psichicizzata? Ma dobbiamo ancora chiederci: a chi appartiene questa spinta? Al giovane uomo e alla portata dei suoi traumatismi singolari, o forse annuncia delle radicali trasformazioni intorno alla declinazione del maschile e del femminile così come vanno prendendo forma in questo inizio del nuovo millennio? E’, in altri termini, un segno che forse annuncia il tentativo che giunge da lontano e che in ogni periodo storico ha tentato di farsi strada in ogni nuova generazione, al fine di integrare quegli elementi della bisessualità umana, le voci dei corpi esclusi, troppo a lungo espulsi dalla costruzione del soggetto e trattati come residui, resti inassimilabili. Mi tornano in mente, a tale riguardo, le riflessioni di Fachinelli sul ‘68 e su una Psicoanalisi disarmata di fronte ai nuovi processi imprevisti – i giovani e le donne -, e con essi tutte quelle esperienze essenziali dell’umano rimaste fuori dalla dimensione politica. Ripensare la cultura e la politica a partire da ciò che tradizionalmente venivano considerati “scarti”, “residui”, vissuti impresentabili, voleva dire in qualche modo farsi “barbari”, prendere distanza dalla continuità del noto, mettere in discussione il rapporto ottimistico che la civiltà occidentale aveva intrattenuto con le sue mete tecno-scientifiche (rimando agli scritti di Lea Melandri). “Anche i giovani del ’68 –scriveva Fachinelli- erano comparsi “imprevisti”, come “barbari” dall’esterno di una civiltà esaurita, come per “un’astuzia di Eros”. Con loro si affacciavano “prospettive impensate”, a riprova dell’incompiutezza delle alternative concesse alla specie umana”. Chissà se una delle prospettive a cui i giovani uomini e le giovani donne che combattono le rigidità identitarie espresse nelle concezioni binarie per affermare la fluidità del genere, con identificazioni di genere mutevoli e contrastanti, non possano farsi interpreti inconsapevoli anche di nuove necessità che la specie umana sta incontrando in una forma nuova della declinazione dell’umano? In altri termini la bisessualità, l’irruzione del femminile, la sessualità espulsa e non integrata in cerca di una nuova collocazione nell’economia del soggetto contemporaneo tenta di farsi strada, aprire varchi.

Forse, vi è un’analogia tra il lavoro psichico inconscio che alcuni individui vivono attraverso i loro corpi come una forma di semiosi, e la necessità per noi psicoanalisti di continuare a ricercare nessi tra corpo, individuo e legame sociale capaci di cogliere uno spettro più ampio di significati.

Del resto, già Freud, nella Psicogenesi di un caso di omosessualità femminile (1920) considerava la scelta d’oggetto eterosessuale come un fenomeno altrettanto enigmatico di quella omosessuale, al punto che, “nel senso della psicoanalisi, anche l'interesse sessuale esclusivo dell’uomo per la donna è un problema che ha bisogno di essere chiarito e niente affatto una cosa ovvia”.

Successivamente, nel 1925 cosi continuava ad esprimersi: “Tutti gli esseri umani, in conseguenza della loro disposizione bisessuale, nonché della trasmissione ereditaria incrociata, uniscono in sé i caratteri virili e femminili, cosicché la virilità e la femminilità pure rimangono costruzioni teoriche dal contenuto indeterminato” (Freud, 1925, p. 216).

Inoltre, in una prospettiva di dialogo con i contributi in arrivo dal campo neuroscientifico, attraverso i quali continuare ad interrogare i nostri assunti. Ricorderei gli studi di Ramachadran (2008) nel caso dei transessuali sul tema del pene fantasma, femmine nate in un corpo maschile dichiaravano ancor prima dell’operazione una vivida sensazione di possesso di un pene fantasma, cosi come di una erezione fantasma. Questi casi confermano l’acquisizione di una rappresentazione su base neuronale degli organi di genere come parte della loro immagine nel cervello che resiste a tutti i tipi di feed-back visivo e di riferimento culturale, ad esempio nei casi riportati essere cresciuti come una donna. Insomma, l’immagine corporea specifica per il genere è percepita dall’interno perché interamente cablata nel cervello. Gli studiosi hanno tracciato aree di indagine sui fattori genetici ed epigenetici a partire dalle tendenze identitarie nei gemelli. Tutto questo ci induce a tenere sempre a mente la singolarità di ogni storia e la necessità di mettersi in ascolto di quella singola modalità di dialogo con “i corpi che si odiano”.

Come psicoanalisti dobbiamo continuare ad interrogarci a proposito dei percorsi di soggettivazione e di appropriazione soggettiva, chiederci su quali forze psichiche e attraverso quali economie identificatorie il soggetto psichico contemporaneo, che prende forma in contesti storici così trasformati manterrà il proprio equilibrio libidico nel preservare il sentimento di sé, e l’investimento dei legami interni ed esterni.  Teniamo a mente le forme di appropriazione soggettiva derivanti da esperienze traumatiche che alterano profondamente il sentimento di sé.

Dobbiamo riuscire a garantire ai nostri pazienti una possibilità di incontro e di ascolto autenticamente analitico, in grado di portarsi oltre, per quanto possibile, alcuni stereotipi e le numerose ideologie, vincoli in grado di imbrigliare l’ascolto, che invece deve farsi capace di creare le condizioni di un dialogo con quelle forme  di “pluralità psichica” dell’ altro, riconosciute e comprese attraverso la nostra “funzione analitica della mente” che ci consente di entrare in relazione con l’altro potendo al contempo  riflettere e mantenerci in dialogo con noi stessi.  Forse, “per spingersi oltre gli opposti, è necessario pensare a qualcosa di più multiforme e di più decentrato di un semplice asse uguaglianza- differenza, dell’idea di una sola differenza” (Benjamin, 2006, p. 177).

Del resto, è opportuno chiarire (teniamo a mente le forme di appropriazione soggettiva derivanti da esperienze traumatiche che alterano profondamente il sentimento di sé) che i quesiti e le riflessioni inerenti le diverse forme di vita psichica e i processi del divenire soggetti, attraversano in modo ubiquitario ogni esperienza di vita psichica ogni funzionamento, etero/omo, trans- sessuale,  per tali motivi il nostro compito è continuare a ricercare per comprendere le specificità di ogni espressione singolare di vita e di legame psichico.  

 

Bibliografia

Benjamin, J. (2006). L' ombra dell'altro. Intersoggettività e genere in psicoanalisi. Torino: Bollati Boringhieri

Butler, J. (2004). La disfatta del genere. Sesto San Giovanni: Biblioteca Meltemi

Freud, S. (1905). Tre saggi sulla teoria sessuale e altri scritti (1900-1905). OSF. IV

Freud, S. (1914). Introduzione al narcisismo. OSF.VII

Freud, S. (1920). Psicogenesi di un caso di omosessualità femminile. OSF. VIII.

Freud, S. (1925). Alcune conseguenze psichiche della differenza anatomica tra i sessi. OSF. X

Laplanche, J. (2019). Sexuale. La sessualità allargata nel senso freudiano. Milano: Mimesis Editore

Nussbaum, M.C. (1996). Compassion: The Basic Social Emotion. Social Philosophy and Policy, 13, 27-58.

Nussbaum, M.C. (2001). La fragilità del bene. Fortuna ed etica nella tragedia e nella filosofia greca. Bologna: il Mulino

Russell, B. (1975). The Autobiography of Bertrand Russell, in L’origine della sessualità infantile. riflessioni sull’articolo di Daniel Widlöcher,. Amore primario e sessualita’ infantile (Trad. it. in D. Widlöcher, J. Laplanche, P. Fonagy, E. Colombo, D.Scarfone, P. Fédida, J. André, C. Squires. Sessualità infantile e attaccamento. (a cura di) F. Conrotto. Milano: Franco Angeli, 2000)

Stoller, R. (1968). Sex and Gender: On the Development of Masculinity and Femininity. London: Hogarth Press.

 

 

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