Bambini e adolescenti

"Psicoanalisi fuori le mura: un analista a Scuola" di Giuseppe Messina

La psicoanalisi fuori le mura è sempre foriera di numerosi interrogativi, può la psicoanalisi essere utile alla scuola? Questo si chiede un analista al lavoro in diversi sportelli d'ascolto di alcuni istituti scolastici romani, l'acrobazia di mettere insieme la stanza d'analisi con il fragore della scuola è un'operazione che richiede attenzione e destrezza, la possibilità di accogliere e dare spazio a domande che non lo avrebbero mai trovato è la grande bellezza.


"Psicoanalisi fuori le mura: un analista a Scuola"  di Giuseppe Messina

“Mancano sempre le parole per spiegare le intenzioni. Come quando
in prima elementare la maestra disse: "Disegnate una bella casetta,
la casetta dei vostri sogni". Eravamo in 27. Io pensai: "Povera
maestra, alla fine avrà ventisette casette. Dai, le faccio un gattino".
Quando consegnai il foglio, la maestra mi guardò attonita: "Ma...
ma... tu capisci quando parlo?" Non seppi spiegarle che era un dono:
scelsi di sembrare deficiente. La mia intenzione non mi faceva
tremare il cuore, solo avevo vergogna per le parole che non uscivano
e vergogna per lei, che non aveva altri occhi che quelli dietro gli
occhiali, che vedevano soltanto i risultati.”
(Chandra Livia Candiani, Questo immenso non sapere, 2021)

 

Un analista passa diverse ore seduto nel medesimo luogo attraversando i ritmi regolari delle sedute che si ripetono nel trascorrere delle settimane, accoglie i suoi pazienti che si distendono sul lettino per un numero accordato di sedute settimanali: d’altronde è questa ritualità che fornisce l’inquadramento per dirla con Bleger (1967), il setting, la cornice, quegli elementi invarianti che consentono, o dovrebbero consentire, l’investimento e il progredire del lavoro analitico. L’instaurarsi di un ritmo, di una relazione, di un transfert. Allo stesso modo sono proprio le alterazioni di queste condizioni invarianti che segnalano all’analista un movimento psichico del paziente da eventualmente interpretare: saltare le sedute, arrivare in ritardo o in anticipo, manipolazioni del pagamento e così via. Insomma garantire la quiete del setting spesso consente al paziente di inaugurare la sua tempesta e all’analista di avere gli strumenti per interpretarla, non da ultimo alterazioni significative del setting possono segnalare questioni inerenti gli strati più profondi del paziente e della relazione analitica, del campo bipersonale (Baranger & Baranger, 1961-62). Mi rendo conto che questa è un’immagine riduttiva dell’analisi, ogni analista sa bene che oggi, in particolare con i pazienti di area non nevrotica, probabilmente la maggior parte, la difficoltà spesso sta proprio nel costruire il setting (Green, 1974a), e la tempesta (quasi sempre già avvenuta) è di là da venire (in apres-coup) ma tanto basta per tenere in mente le condizioni peculiari del lavoro analitico. Verrebbe da domandarsi cosa c’entri questo, il dispositivo psicoanalitico, fatto di fuori tempo, di attesa, di sorpresa, di quella che Pontalis (1999) chiamava la “quinta stagione” ripresa da Chiara Matteini (2025) nel suo recente libro monografico dedicato, con uno Sportello d’Ascolto in una Scuola, magari pubblica: in altri termini quali sono, se esistono, le contaminazioni possibili che la psicoanalisi può apportare in un contesto di supporto psicologico in una Scuola. Lo Sportello d’Ascolto è prima di tutto un luogo, più spesso un’aula spoglia o quando le cose vanno bene una biblioteca, in cui lo psicologo scolastico accoglie gli studenti che ne fanno richiesta. Le modalità attraverso le quali lo Sportello è conosciuto o non dai ragazzi, dai professori, dai collaboratori scolastici, le modalità attraverso le quali gli studenti possono fare richiesta, le modalità di accoglienza, le modalità di lavoro, variano da professionista a professionista. In questo senso si aprirebbe subito un enorme capitolo di riflessione vale a dire se lo Sportello d’Ascolto rappresenti un servizio di supporto psicologico in una Scuola o se, diversamente, sia un servizio di supporto psicologico per una Scuola. Probabilmente dovremmo orientarci verso uno statuto di esistenza complesso, lo Sportello di ascolto è un servizio rivolto prevalentemente a studenti e genitori ed in questo senso è un lavoro di supporto psicologico che si svolge in una Scuola e tuttavia è anche un servizio che si rivolge ad una istituzione nel suo insieme, che mira a costruire l’immagine interna di un presidio psicologico, un oggetto interno buono, in tale prospettiva è un supporto psicologico per una Scuola. Ciò detto rimane aperto il quesito di come la psicoanalisi o lo psicoanalista possa usare gli strumenti che gli sono propri in un tal contesto. Nel tentativo di abbordare una questione così complessa in questo articolo credo che ci si possa servire di un elemento che viene in aiuto: prima di tutto il lavoro di ascolto si svolge con minori, più spesso con preadolescenti e adolescenti, raramente con bambini. Questo è un elemento fondamentale perché come sappiamo l’adolescenza è stata a lungo considerata la “cenerentola” della psicoanalisi (A. Freud, 1957) nonostante ormai da quarant’anni sia fiorita una letteratura specifica tanto da considerarla una “prima donna” (Pellizzari, 2013), basti pensare agli enormi contributi dei Laufer (1984), di Philippe Jeammet (1992), di Raymond Cahn (1994) (2002), di Philippe Gutton (2000) (2008), di Arnaldo Novelletto (2009), di Gianluigi Monniello (2014) (2016), solo per citarne in riduttiva rassegna tra i più vicini alla mia formazione specifica di psicoterapeuta Arpad. L’adolescenza, con i suoi rimaneggiamenti dell’Io infantile, con il suo terremoto pubertario, propone quel cambiamento identitario, o sarebbe meglio dire il lavoro di costruzione identitaria, il processo di soggettivazione, che si offre bene come chiave per comprendere la diversa postura che l’analista dovrà assumere quando lavora in uno Sportello d’Ascolto di una Scuola, ivi compresa la messa in tensione degli investimenti. Si tratterà di mettere al lavoro l’infans per fare spazio all’adolescens, al suo corpo, al suo desiderio, alla sua firma soggettiva: così si può dire che l’analista deve far ricorso al suo desiderio, al setting, stavolta interno, alla sua mente al lavoro, per orientare sé stesso e il lavoro psichico nel contesto scolastico di un Servizio d’Ascolto. Prima di calarci in questa operazione un po' acrobatica vorrei cercare di segnalare quelli che sono ai miei occhi i principali fattori di differenza con cui l’analista si trova a confrontarsi quando lavora in uno Sportello d’Ascolto: deve operare una scelta rispetto alla pubblicizzazione o meno del servizio; ha a disposizione uno spazio fortemente caratterizzato simbolicamente, un luogo scolastico, molto spesso connotato da intensi rumori ambientali; ha delle responsabilità legali che condivide, almeno in parte, con il Dirigente Scolastico; deve scegliere se ed eventualmente in che misura collaborare con i docenti; ha a disposizione un numero di sedute definibile ma non indefinito; ha la responsabilità di restituire a chi fa la domanda e, molto spesso, ai suoi genitori, un quadro di senso. Queste differenze elencate sono il frutto dell’esperienza personale come analista al lavoro in veste di psicologo scolastico in due scuole di Roma, la prima a titolo privato, la seconda con l’Associazione di cui sono socio fondatore, Officine Psicologiche. Questa esperienza non è solo il luogo in cui mi interrogo su come il mio essere analista emerga nel lavoro dello Sportello d’Ascolto ma anche come quest’ultimo influenzi il mio lavoro di analista, insomma l’incontro, la reciprocità delle parti del sé. Per mantenere il focus sul primo, oggetto di questo articolo, direi che l’evidenza fondamentale, il punto in cui la psicoanalisi emerge come motore, è quella dello spazio interiore che viene offerto e di cui i ragazzi usufruiscono, sono ormai decine le occasioni in cui mi sono sorpreso dell’enormità delle comunicazioni ricevute: G. mi parla dell’abuso di cui è stata vittima la madre e al quale ha assistito; L. mi racconta di una stanza nella casa dei nonni in cui vive uno zio in coma, in stato vegetativo; V. ricorda l’esistenza di un fratello mai nato, di una pancia sparita; T. racconta di un padre che lo scambia per un bersaglio sul quale lanciare oggetti ogni pomeriggio; potrei continuare ma credo che sia chiaro il livello che intendo mettere in luce quando dico che lo spazio interiore che risuona è quello che maggiormente risulta nell’influenza della psicoanalisi nel lavoro allo Sportello d’Ascolto scolastico. Io credo che queste comunicazioni così importanti siano la risultante di una serie di fattori concomitanti che si potrebbero sintetizzare nella “mente al lavoro dell’analista” e che certamente comprendono la capacità dell’analista di fare spazio all’altro dentro di sé, la capacità di tenerlo in mente, la possibilità di pensare nuove traiettorie, l’incontro insolito con qualcuno che si mette in ascolto di una scena non vista, dell’altra scena. La portata di queste comunicazioni che uno Sportello d’Ascolto scolastico orientato psicoanaliticamente può accogliere sono in forte contrasto con il tempo a disposizione, definibile ma non indefinito, nella mia prassi tre o quattro sedute. Prassi che d’altro canto evoca un’altra influenza della postura analitica, di fatto ho preso a modello di lavoro per l’ascolto nelle scuole quello che siamo soliti chiamare “spazio di consultazione” e analogamente l’incontro che di consueto svolgo con i genitori al termine, come “spazio di restituzione”. Mi sembra di aver proposto intanto quattro elementi che nascono in ambito psicoanalitico e che svolgono una funzione fondamentale nel lavoro di ascolto scolastico: il setting interno, la mente dell’analista al lavoro, lo spazio di consultazione, lo spazio di restituzione. Se da un lato questi sono alcuni punti di contatto, notevoli sono le differenze e anche in queste credo sia importante ravvisare un orientamento psicoanalitico possibile. La prima differenza è la pubblicizzazione del servizio, un’analista generalmente non fa nessuna pubblicità del suo lavoro, spesso accoglie pazienti che sono inviati da altri analisti che lo stimano e che ne hanno fiducia, insomma l’incontro è veicolato, molto spesso, da un terzo, più frequentemente un collega. Ritengo che uno psicologo scolastico, per quanto analista, abbia il compito etico e clinico di pubblicizzare il proprio servizio e farlo in prima persona, questo pone il problema del come farlo: personalmente entro in ogni classe dell’istituto scolastico all’inizio dell’anno, mi presento brevemente dicendo il mio nome e cognome, la mia professione privata, psicoanalista, il mio ruolo pubblico nella Scuola, psicologo scolastico, dopodiché pongo generalmente delle domande, domande che muovano il loro desiderio di scoperta del mondo interno: cos’è la psiche? A che servono le emozioni? Perché parliamo? Perché sogniamo? Io credo che questa sia un’operazione psicoanalitica perché non si concentra sul “cosa” ma sul “come”, mostra come ognuno di noi ha un apparato psichico complesso e stratificato. La seconda differenza è il lavoro in uno spazio fisico molto rumoroso e che spesso, per volere scolastico, dovrebbe cambiare in funzione delle disponibilità degli spazi: credo che bisogna battersi per avere uno spazio di lavoro meno rumoroso possibile ma soprattutto costante: un luogo fisico che diventi anche psichico, un presidio esterno che possa essere internalizzato dall’istituzione stessa e che diventi una funzione per la Scuola. Quest’ultimo obiettivo è di fatto in comune con l’analisi, se da analisti cerchiamo che il paziente introietti la funzione analitica cioè acquisisca una capacità di autoanalisi, in un Servizio d’Ascolto scolastico cerchiamo di far sì che l’istituzione resti in ascolto dei suoi bisogni emotivi e che sappia, se non fare autoanalisi perché forse impossibile, attingere alle giuste risorse interne e sapere, in caso di necessità, che c’è qualcuno a cui rivolgersi. La terza differenza è nella condivisione della responsabilità e dunque in taluni casi del lavoro, con il Dirigente Scolastico, l’analista non condivide la responsabilità clinica con nessuno e la sua responsabilità legale è fortemente limitata, diversamente uno psicologo scolastico ha degli obblighi legali relativi alla funzione pubblica che svolge e davanti a stati mentali a rischio deve intervenire di concerto con la dirigenza: anche questo può essere orientato analiticamente, ad esempio nel restituire al ragazzo che lo psicologo si prenderà carico della situazione fino a che altri, con cui si premurerà di dialogare, non raccolgano il testimone. Questa modalità di segnalazione non si limita ad adempiere all’obbligo legale dovuto ad un contesto sanitario a rischio ma tiene in mente il paziente continuandolo a farlo sentire tenuto nel difficile passaggio al pubblico e/o agli eventuali Servizi Sociali. Ad ogni modo questo mette lo psicologo scolastico nella posizione, molto rara in analisi, di essere pronto non solo a collaborare con numerosi soggetti di cura esterni ma anche a conoscerli per poterli attivare. La quarta differenza sta nella portata dello “spazio di restituzione”, se un’analista deve probabilmente restituire al paziente quello che ha “capito” durante le sedute di consultazione d’altro canto non ha un compito “estensivo” in tal senso, si può limitare a qualche commento di natura osservativa o, se del caso, a qualche interpretazione, e creato così l’aggancio, proporre una psicoterapia o un’analisi; al contrario uno psicologo scolastico dovrà fare l’acrobazia di rimanere insaturo ma di fornire un’immagine che possa essere sufficientemente solida per creare un invio ad un altro analista di adolescenti. Qui sta l’ultimo punto che vorrei trattare in queste brevi riflessioni: credo di aver imparato dai maestri non solo l’importanza della diagnosi lunga (Novelletto, 1991) ma anche del misterioso salto fra diagnosi e terapia in adolescenza (Novelletto, 1987), in questo senso l’investimento che l’adolescente fa sullo psicologo scolastico è, intrecciato con lo spazio di consultazione disponibile, l’enigma da sciogliere. L’acrobazia che tento di fare è quella di informare subito i ragazzi, al momento della presentazione in classe, che incontrerò chi farà richiesta per un numero massimo di quattro incontri, tentando così di definire l’investimento, e poi, una volta incontrati e dato spazio alla loro domanda, quando necessario, riferisco loro che sarà mia cura affidarli ad un collega di cui ho stima e fiducia. Naturalmente questo comprende il colloquio con i genitori, vero e proprio shibbolet dell’intera operazione, ma questa è una storia che meriterebbe una riflessione a parte. A volte l’acrobazia riesce. La psicoanalisi fuori le mura è possibile.

 

Bibliografia
Baranger, W., & Baranger, M. (1961-62). La situazione analitica come campo bipersonale. Milano: Cortina 1990.
Bleger, J. (1967). Simbiosi e ambiguità. Studio psicoanalitico. Armando Editore, 2010.
Cahn, R. (1994). Adolescenza e follia. Borla. Cahn, R. (2002). La fine del divano? Roma: Borla, 2004.
Candiani, C. L. (2021). Questo immenso non sapere. Einaudi.
Freud, A. (1957). Adolescenza. In A. Freud, Opere 1945-1964, vol. 2. Torino: Boringhieri, 1979.
Green, A. (1974a). L'analista, la simbolizzazione e l'assenza nel setting analitico. In A. Green, Psicoanalisi degli stati limite (p. 57-88). Milano: Raffaello Cortina, 1991.
Gutton, P. (2000). Psicoterapia e Adolescenza. Borla, 2002. Gutton, P. (2008). Il genio adolescente. Edizioni Magi.
Jeammet, P. (1992). Psicopatologia dell'adolescenza. Borla.
Laufer, M., & Laufer, E. (1984). Adolescenza e Breakdown evolutivo. Torino: Boringhieri, 1986.
Matteini, C. (2025). Jean-Bertrand Pontalis. Feltrinelli.
Monniello, G. (2014). Il divenire della vita psichica. Dalla traccia sensoriale alla creazione di sé. . Rivista di Psicoanalisi, 60, 657-674. Monniello, G. (2016). Soggettivazione e principio di realtà in adolescenza. Rivista di Psicoanalisi, 62, 861-883.
Novelletto, A. (1987). Il misterioso salto fra diagnosi e terapia. In A. Novelletto, L'adolescente - Una prospettiva psicoanalitica (p. 73-78). Roma: Astrolabio, 2009. Novelletto, A. (1991). Nascita e sviluppo della diagnosi dalla mente del terapeuta a quella dell'adolescente. In A. Novelletto, L'adolescente, una prospettiva psicoanalitica (p. 78-80). Astrolabio. Novelletto, A. (2009). L'adolescente - Una prospettiva psicoanalitica. Roma: Astrolabio.
Pellizzari, G. (2013, Ottobre 14). Adolescenza (Terapia). Tratto da Spiweb: https://www.spiweb.it/laricerca/ricerca/adolescenza-terapia/
Pontalis, J. B. (1999). Questo tempo che non passa. (C. Traversa, A cura di) Borla.



Partners & Collaborazioni