Psicoanalisi delle varianze di genere

L’importanza di approfondire lo studio di pazienti che presentano varianze di genere, cercando di analizzare e superare sia gli ostacoli dovuti all’omotransfobia, sia quelli dovuti all’uso delle teorie, al controtransfert, alle difficoltà identificatorie che emergono nella relazione analitica.

Luca Bruno

 

Le varianze di genere sono un argomento di assoluta attualità e in fase di esplorazione ed elaborazione anche in ambito psicoanalitico. Non sono ancora molti gli istituti psicoanalitici che trattano del tema, che lo propongono all’interno dei seminari di formazione, che hanno supervisori che accettano per i casi di training questo tipo di pazienti e che attivano gruppi di studio sull’argomento o che organizzano convegni specialistici.

L’IPA solo dal 2016 ha istituito un committee sull’argomento, denominato “Sexual and Gender Diversity Studies”.

Le persone che presentano varianze sessuali e di genere costituiscono un gruppo particolarmente disomogeneo, che oggi inizia a chiedere con minor incertezza aiuto agli psicoanalisti e gli psicoanalisti iniziano a considerare con nuova apertura questi pazienti.

Esistono residui più o meno estesi di rifiuto inconscio di fronte alle persone transgender, transessuali e gender fluid, che seguono le dinamiche dell’omo-trans-fobia, nelle quali reazioni irrazionali avversive, pregiudizi e posizioni ideologiche legate al binarismo maschio/femmina causano resistenze che possono influenzare inconsciamente anche lo psicoanalista nella cura. Vi sono ideali di genere e di sessualità (adesione al cisgenderismo, all’eterosessualità, al binarismo di genere) consolidati oltre che nelle norme sociali, anche in un inconscio normativo (Evzonas, 2020).

Il trattamento analitico di questi pazienti richiede un lavoro identificatorio che può risultare particolarmente complesso-conflittuale e non dovrebbe far dimenticare l’indicazione di Freud (1914) a proposito dell’importanza di non sottrarre la libertà al paziente, di non imporgli i nostri ideali e di non desiderare che si conformi alla nostra immagine.

Vi sono diversi insidiosi ostacoli nella cura analitica di questi pazienti. L’analista si può ancorare alle teorie che ha a disposizione e limitare la possibilità realmente analitica (esplorativa, creativa) del trattamento, ricorrendo a interpretazioni che evidenziano il deficit, il trauma, il difetto dello sviluppo e che diagnosticano questi pazienti sempre come psicotici, perversi o gravi narcisisti.

Nella relazione analitica, l’analista può assumere una certa rigidità psichica e trasmettere al paziente le proprie posizioni personali, mostrando intolleranza e scarso contenimento. Può dimostrare elementi contraddittori di fronte ad aspetti corporei e somatopsichici perturbanti del paziente e mostrarsi in difficoltà nell’accordare pronomi e aggettivi secondo l’identità di genere del paziente.

L’analista deve svolgere un attento lavoro (per quanto inevitabilmente sempre incerto e incompleto) sul proprio controtransfert, che può contenere irrisolti conflitti identitari e ansie non elaborate sul corpo e sulla sessualità (Hunsbury, 2017). Il controtransfert negativo non affrontato può avere un impatto particolarmente distruttivo nella cura di questi pazienti (Ayouch, 2005), determinando stati di impasse o interruzioni.

Nello sviluppo della ricerca psicoanalitica sulle questioni legate alle varianze di genere, occorrerebbe sviluppare nuove teorie a partire dalla clinica e una metapsicologia del genere aperta alla diversità.

Allouch (2014) afferma che per trattare questi pazienti occorre essere “regolati intorno alla diversità”, per riuscire a identificarsi con gli aspetti ibridi, non binari, non dualistici. Solo così si possono estendere le nostre capacità di ascolto in una clinica che risente dell’attuale mutazione culturale e bioetica e si possono attentamente analizzare le oscillazioni identitarie delle persone transgender e gender fluid e i significati delle trasformazioni corporee dei soggetti transessuali.

La cura di questi pazienti chiede in modo particolare all’analista di rimettere in discussione il “fondamento biologico” (Freud, 1937), nella riattivazione conflittuale delle tematiche che riguardano l’angoscia di castrazione, il rifiuto della passività e le relative difese.

Hansbury (2021), in una prospettiva di inclusione, formula un concetto alternativo di genere e teorizza il “confine del transgender” inteso come spazio psichico liminale, zona di frontiera tra i generi dai margini sfumati, anche in persone non transgender. Si tratta di un’area nella quale il maschile e il femminile si decostruiscono e si distribuiscono sovrapponendosi in modi che possono o meno corrispondere al corpo biologico.

Vorrei infine concludere con una critica ai discorsi di una parte degli analisti sul fatto che la psicoanalisi non debba occuparsi delle differenze di genere, ma solo di quelle sessuali oppure che, se lo fa, l’analista si trasforma indebitamente in una madre buona, troppo accogliente e soccorrevole o un professionista che si occupa di assistenzialismo, di problemi sociali o di diritti umani. Credo che queste affermazioni siano spesso il segno di un movimento difensivo, ostruttivo e denegante della complessità e della profondità della questione.

Molte persone transgender hanno un buon contatto con la realtà e non negano la dimensione biologica della sessualità, ma cercano un’adeguata corrispondenza tra identità di genere e corpo. Cercano unitarietà e coerenza, affrontando gli aspetti ineludibili del dolore, riconoscendo e affrontando i limiti, senza per questo distorcere e abdicare agli aspetti profondi della propria identità e del proprio modo di amare.

La questione transgender e più in generale le tematiche connesse alle varianze del genere rappresentano un campo di indagine analitica ancora in larga parte oscuro, che merita approfondimenti. Il lavoro analitico è anche un processo continuo di elaborazione di lutti e di disillusioni, che avviene a favore di una certa capacità negativa, quella di tollerare l’ignoto, di vivere nelle incertezze, senza accorrere affannosamente a cercare spiegazioni (Bion, 1970; Meltzer, 1975).

Penso che la psicoanalisi debba fare uno sforzo per oltrepassare le sue stesse preclusioni, per cercare di comprendere, con il raffinato acume che la contraddistingue, il funzionamento mentale delle persone di cui stiamo parlando, senza rinunciare al suo bagaglio di conoscenze teoriche e di strumenti, in primis l’interpretazione, e prestando però nuova e particolare attenzione alle specifiche dinamiche transferali e controtransferali. Tali dinamiche mettono in campo complessi salti identificatori e richiedono di rianalizzare gli abituali assetti binari lungo i quali l’analista è più abituato a muoversi (Evzonas & Laufer, 2019) nella sua esperienza analitica con pazienti eterosessuali e omosessuali.

 

Bibliografia

Allouch, J. (2014). Fragilités de l’analyse. Critique, 800-801(1), 19-31.

Ayouch, T. (2005). Psychanalyse et transidentités: Hétérotopies. L’Évolution psychiatrique, 80, 303-316

Evzonas, N. (2020). Relire Jean Laplanche: pour une métapsychologie de genre queer. Analysis, 4 (3), 344-359.

Evzonas, N. & Laufer, L. (2019). The therapist’s transition. The Psychoanalytic Review, 106 (5), 385-416.

Freud, S. (1914). Osservazioni sull’amore di traslazione. O.S.F., VII.

Freud, S. (1937). Analisi terminabile e interminabile. O.S.F., XI.

Hunsbury, G. (2017). Unthinkable anxieties: Reading transphobic counter-transferences in a century of psychoanalytic writing. Transgender Studies Quarterly, 4(3-4), 384-404.

Hunsbury, G. (2021). L’uomo vaginale: lavorare con la corporeità di uomini queer al confine del transgender. Psicoterapia e Scienze Umane, 55 (1),19-40.

Meltzer, D. (1975). Lo sviluppo kleiniano. Roma: Borla.

Bion, W. (1970). Attenzione e interpretazione. Roma: Armando.

 

 

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