No one to drive the car: la psicoanalisi alla prova del queer

Se il queer rappresenta quello strano oggetto non (ancora) identificato rispetto al sapere già costituito, insussumibile alla teoria, ineducabile e irriducibile, come è possibile articolarlo alla psicoanalisi?

Leonardo Spanò, Valeria Condino, Alexandro Fortunato

 

No one
to witness
and adjust, no one to drive the car

William Carlos Williams, To Elise, The Collected Poems.

 

Un giorno concavo che è prima di esistere
sul rovescio dell’estate la chiave dell’estate
.

Vittorio Sereni, Un posto di vacanza, Stella variabile.

 

“To Elise” è la poesia di William Carlos Williams che contiene un verso di apertura ormai celebre: “I frutti puri impazziscono” (divenuto poi anche il titolo di un classico dell’antropologia a firma di James Clifford). Se è vero che quell’incipit raccoglie un implicito assoluto del queer, non da meno è la sua chiusa (che qui appare in esergo): il queer è la possibilità di decentrarsi continuamente, è il luogo di nessuna agency, quello dove non potrà mai risiedere il discorso o il potere o il (fosse anche solo supposto) sapere di qualcuno su qualcun altro; nessuno sta guidando la macchina eppure sfrecciamo via veloci. Se il queer rappresenta quindi quello strano oggetto non (ancora) identificato rispetto al sapere già costituito, insussumibile alla teoria, ineducabile e irriducibile, come è possibile articolarlo alla psicoanalisi?

Il queer andrà inteso qui come vertice ottico o come matrice aperta di possibilità che permetterebbe alla psicoanalisi di abbandonare il suo assunto normativizzante; quindi come tutto quell’insieme degli scarti, degli a-margine, delle intersezioni, delle fratture e delle convergenze che si istituiscono quando gli elementi costitutivi del genere e della sessualità non sono costretti in significazioni irrigidite.

“Accogliere chi? Un ospite interno. Accoglierlo prima di esaminarlo ed eventualmente respingerlo. Intrepidezza, atteggiamento infinitamente più ricco e alla fine forse più efficace della prudenza di chi edifica muraglie”, queste parole di Elvio Fachinelli sembrano condensare esattamente la funzione che il queer potrebbe assumere in seno alla teoria analitica e danno sostanza a ciò che dicevamo poco fa. Il queer, così come il sessuale e l’infantile, è il grimaldello che permette di riaprire al pensiero un’altra volta ancora, di sparigliare le carte del già saputo, di imporre una riflessione sempre nuova, un ripensamento e un allargamento rispetto a quello che fino a quel momento ha rappresentato il modello e la norma. Non è lineare, obbedisce a una sovra-determinazione di cause, la cui composizione si apre al caso, all’incerto. Si rivela come una fioritura creativa ancorata alla dimensione pulsionale sublimatoria e transizionale dando luogo alla costruzione di un’esperienza sia simbolica che culturale e politica.

Costitutivamente periferico e minore, il queer funzionerebbe allora per la psicoanalisi come un rivelatore.

In maniera colpevolmente schematica e sintetica si potrebbero individuare tre punti fondamentali, da riprendere con più spazio e più tempo altrove, capaci, almeno virtualmente, di esibire la prestazione che il queer potrebbe operare dentro alla psicoanalisi:

  • “Il suggerimento di mutabilità epistemiche”, per usare le parole di Liana Borghi: il queer offre un invito continuo a sperimentare complessità e connessioni di piani diversi. La direzione auspicata è quella di una collocazione, o meglio di un posizionamento di apertura al mondo, di relazioni tutte da pensare e da tessere, liberati dalla norma e dal binarismo. “Open to revision”, lo affermava negli anni Venti Freud. Gli ha fatto eco Lacan nei primi anni 50 nel libro primo del Seminario, “Les écrits techniques de Freud” definendo la psicoanalisi “cet enseignement est un refus de tout système”. Oggi, forse, questa postura, certamente scomoda, viene troppo spesso dimenticata.
  • Ribadire la centralità del ruolo del corpo: i corpi contano, parlano e producono modi di stare al mondo.
  • Rivalutare le nozioni di ironia, di gioia e di euforia: se si ritenesse che questo sia una acefala messa al bando del negativo a favore di una stolida allegria non si potrebbe essere più lontani dal vero; come ci dicono benissimo Lauren Berlant e Lee Edelman: “This rule of irony should not be confused with some particular form of affect – with a hip sensibility, a casual indifference, a privileged aloofness, a hard-boiled attitude, or any other mode of self-presentation. Instead such irony undermines every affirmative presentation of self and guarantees only the persistence, in its multitude of forms, of the negativity, the unresolved question, that drives us to pickat the scab of selfhood that aims to suture the wound of being.” [Questa regola dell'ironia non deve essere confusa con una particolare forma di affetto - con una sensibilità alla moda, un'indifferenza casuale, un distacco privilegiato, un atteggiamento hard-boiled o qualsiasi altra modalità di auto-presentazione. Piuttosto tale ironia mina ogni presentazione affermativa di sé e garantisce solo la persistenza, nella sua molteplicità di forme, della negatività, della questione irrisolta, che spinge a stuzzicare la crosta dell'io che tende a suturare la ferita dell'essere]. O, tornando più indietro nel tempo, viene in mente il Leopardi delle Operette morali, dove nell’”Elogio degli Uccelli” a essere messi a tema sono la libertà, la leggerezza, il ritiro dalle convenzioni; l’affronto di mostrare la propria contentezza e attraverso questa la capacità di rallegrare gli altri. All’ironia si giunge solo dopo aver attraversato tutte quelle stesse forme di disillusione che essa stessa prova a demistificare. È aver riso di se stessi prima che degli altri, un riso dove non c’è più traccia di rivendicazione, piuttosto qualcosa che somiglia a una forma di bontà.

 

C’è un cuore etico nel queer, che somiglia molto al mandato analitico, e che potremmo provare a condensare in una formula che suonerebbe pressappoco così: fare vivibile una vita. Queer e psicoanalisi condividono un atteggiamento che si mostra imprescindibilmente aperto nei confronti dell’inedito, della sua incredibile potenza germinativa, favorendo la separazione e la differenza, la creazione e l’apertura e la molteplicità. Entrambe prendono atto della nostra irrimediabile precarietà ma proprio dalla consapevolezza e dall’accettazione di questa nostra fragilità si impegnano a  formulare una risposta che mai sarà consolatoria o sentimentale quanto invece coraggiosa e solidale.

In un'epoca di trionfo delle terapie cognitivo-comportamentali e di profonde trasformazioni sociali, perché gli psicoanalisti non possono utilizzare queste suggestioni per reinventare una clinica?

Porre questa domanda è chiedersi come e perché il lavoro di una moltitudine di teoriche e teorici queer (alcune e alcuni – sicuramente troppo poche e troppo pochi – abbiamo provato a farli parlare qui) non fa psicoanalisi. Significa offrire modi concreti per tornare su formule teoriche e inquadramenti clinici ormai inservibili, bisognosi di nuovi stimoli e nuove significazioni per poter esser di nuovo messi al lavoro. Significa ricollocare la prassi analitica all'incrocio tra teoria e politica. Dall’altro lato, c’è l’opportunità di mettere i concetti queer faccia a faccia con il compito impossibile col quale si confronta ogni analista, metterli cioè in tensione e farli dialogare con la realtà singolare che presiede ogni percorso d’analisi. Non si tratta quindi di trasformare la pratica in una filosofia o men che meno di fare delle decostruzioni di genere una clinica, ma di dimostrare l'utilità dell'una e l'acutezza dell'altra per fare più ricca la sostanza di entrambe. Questa capacità di intercettare le molteplicità e i campi del possibile, che passa attraverso la prova del queer, sono le sfide epistemologiche di una psicoanalisi liberata dalle tutele delle nosografie, delle categorizzazioni e delle gerarchie e rappresentano probabilmente anche l’unico modo per immunizzarsene.

 

Bibliografia

Berlant, L., Edelman, L. (2014). Sex, or the unbearable. Durham: Duke University Press

Borghi, L. (2011), in Marco Pustianaz (a cura di), Queer in Italia. Differenze in movimento, Pisa: Edizioni ETS

Fachinelli, E. (1989). La mente estatica. Milano: Adelphi

Freud, S. (1926). Il problema dell’analisi condotta da non medici. Conversazione con un interlocutore imparziale. Torino: Bollati Boringhieri

Lacan J. (2014). Il seminario. Libro I. Gli scritti tecnici di Freud (1953-1954). Torino: Einaudi Editore.

 

 

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