Avant-coup e Après-coup

Leggere come atto terzo: Ogden lettore di Winnicott – Avant Coup della serata di Paola Catarci - di C. Buoncristiani

Questo articolo prende le mosse dallo scritto di Paola Catarci, Coast to coast: Ogden lettore di Winnicott, un lavoro sensibile e ricco, che verrà presentato in occasione della serata scientifica del 4 giugno 2025 al Centro Psicoanalitico di Roma, dedicata a Thomas Ogden e alla sua personale ricezione del pensiero winnicottiano. Un’occasione preziosa per continuare, insieme, questo dialogo vivo tra chi scrive, chi legge, chi sogna.


Leggere come atto terzo: Ogden lettore di Winnicott – Avant Coup della serata di Paola Catarci - di C. Buoncristiani

Ci sono lettori che decifrano. Altri che interpretano, dissezionano, archiviano. E poi ci sono lettori come Thomas Ogden, che fanno della lettura un atto di creazione condivisa, un incontro psichico, un evento relazionale. Quando legge Winnicott, Ogden non si limita a seguirne il pensiero: lo attraversa, lo rianima, lo abita. E in questo gesto generativo, non solo ci mostra un Winnicott sorprendentemente vivo, ma ci restituisce una concezione radicale dell’esperienza di lettura come forma di co-esistenza e di pensiero in divenire.

Ogden è, in fondo, un clinico della lettura. Come ricorda anche Catarci, il linguaggio winnicottiano è performativo: non serve a “spiegare” l’inconscio, ma a evocarlo, a “parlare l’inconscio” stesso. In questo senso, Ogden riconosce in Winnicott non solo un teorico dello sviluppo, ma un autore che lavora sul lettore così come l’analista lavora sul paziente. L’esperienza estetica della lettura diventa un luogo potenziale in cui l’identità stessa del lettore viene messa in gioco.

Ogni analista sa con il suo paziente  che le parole, se veramente ascoltate, non sono mai inerti. Ci interpellano. Ci formano e deformano. “Chi legge questo libro deve creare una voce con cui dialogare”, scrive, e già in questa frase si sente vibrare l’eco dell’ambiente facilitante winnicottiano: leggere, come analizzare, è creare uno spazio dove qualcosa può iniziare a esistere.

Non sorprende allora che, nella sua rilettura di Winnicott, Ogden non si limiti a ripercorrere concetti noti, ma li incarni, li sogni, li gioca. La sua lettura è reverie: uno stato onirico a occhi aperti, in cui pensiero e affetto, immagine e silenzio, si intrecciano in una trama viva. Non interpreta: trasforma. E nel farlo ci invita, noi lettori del suo Winnicott, a entrare in quello stesso movimento transizionale, dove il significato non è dato ma continuamente generato.

A fondamento di questa esperienza, Ogden colloca la nozione di terzietà: ogni lettura autentica, come ogni seduta analitica, genera un terzo soggetto, una presenza intersoggettiva che non coincide con nessuno dei due partecipanti ma che nasce dalla tensione fra le loro differenze. La lettura, dunque, non è solo ricezione, ma nascita condivisa. Un atto generativo in cui l’analista-lettore, come il bambino con la madre, può cominciare a vivere un’esperienza trasformativa.

È in questo contesto che Ogden si sofferma sull’holding, tema centrale del pensiero di Winnicott. In una delle sue più profonde risonanze teoriche, scrive che la funzione dell’holding può essere intesa come la capacità di creare un ambiente emotivo sufficientemente sicuro, nel quale il bambino – o il paziente – possa vivere l’illusione che il mondo risponda ai suoi bisogni. Illusione, sì, ma fondativa: è proprio questo apparente inganno che rende possibile la continuità dell’essere, la prima esperienza del pensiero come incarnazione simbolica, come atto creativo. L’holding, in questa lettura, non è solo contenimento, ma è premessa di ogni futuro simbolico. È la lingua prima dell’esperienza. E forse, potremmo dire, ogni lettura trasformativa – come quella di Ogden – nasce da un simile spazio tenuto, protetto, giocato.

Così Winnicott, nella lettura di Ogden, non è solo un teorico dell’infanzia o un maestro della transizione: diventa il costruttore di un linguaggio che parla l’inconscio. Le sue frasi non spiegano, non conducono: evocano. Creano, nel lettore, una perturbazione affettiva, una piccola vertigine. E Ogden, nel riconoscere questo, si fa anche autore della propria lettura: ogni parola che sceglie, ogni immagine, ogni eco, è parte di un processo in cui pensiero e forma non possono essere separati. È un pensiero che accade nella scrittura, come nella seduta analitica.

Non stupisce, allora, che nel concludere il suo saggio Reading Winnicott, Ogden distingua due categorie di analisti: quelli per cui le idee possono prescindere dal linguaggio che le trasmette, e quelli – tra cui si include – per cui la forma è sostanza, e l’intreccio tra vita e arte è ineliminabile. Ogden legge come vive, e scrive come ascolta. Il suo è un pensiero che si rischia, che si offre, che si lascia toccare. Proprio come quello di Winnicott.

La lettura, per Ogden, è in definitiva un gioco condiviso: non un passaggio di significati già formati, ma il luogo in cui i significati possono cominciare a formarsi. Come nello spazio potenziale winnicottiano, anche nella lettura co-creativa le cose non sono ancora del tutto né del lettore né dell’autore. Si tratta, piuttosto, di un gesto reciproco che genera realtà. Un gesto che implica il corpo, la memoria, il sogno. E soprattutto, implica una posizione etica: quella di chi si rende disponibile all’incontro senza sapere cosa ne nascerà.

In questo senso, leggere Ogden che legge Winnicott è come guardare due volti che si riflettono nello stesso specchio. Ma ciò che appare nel riflesso non è un’identità. È una differenza feconda, uno spazio tra, un terzo. Un soggetto nuovo, ancora informe, ancora da dire.

Un pensiero, forse, che non sapevamo di avere. Ma che ci aspettava, proprio lì, nel silenzio caldo di una pagina aperta.

 



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