Cultura, cinema e arte

La vita pompiera. Un ricordo di Patrizia Cavalli.

di Leonardo Spanò


La vita pompiera.  Un ricordo di Patrizia Cavalli.

 

Così schiava. Che roba!
Così barbaramente schiava. E dai!
Così ridicolmente schiava. Ma insomma!
Che cosa sono io?
Meccanica, legata, ubbidiente,
in schiavitù biologica e credente. Basta,
scivolo nel sonno, qui comincia
il mio libero arbitrio, qui tocca a me
decidere che cosa mi accadrà,
come sarò, quali parole dire
nel sogno che mi assegno.

 

Patrizia Cavalli, Datura.

 

 

Perché insomma

io ero stata mandata qui per questo,

come tutti d'altronde, per giocare.

 

Patrizia Cavalli, L’angelo labiale.

 

 

Non ha mai tentato una psicoanalisi?

"Una volta ci ho provato, ma ho lasciato perdere abbastanza presto. La simpatica poeta milanese Vivian Lamarque era così dispiaciuta per la mia depressione che mi spinse a provare. Le ho detto: vado, però trovami una psicoanalista bella, antipatica, elegantissima e sprezzante. Voglio essere dominata. Invece mi manda da una signora buonissima. Quando entro nel suo studio si aggiusta il golfetto. Mi chiede: perché viene da me? Rispondo: perché lei è obbligata ad ascoltarmi per 45 minuti senza ribellarsi. I miei amici non ne possono più". Era un groviglio di amori infelici? "Gli amori infelici sono sempre anche felici, altrimenti non potrebbero essere infelici. C'è stato un lunghissimo amore che mi ha fatto scrivere molto. Poi la musa è scomparsa".

 

Patrizia Cavalli, in un’intervista a Repubblica dei primi anni 2000

 

 

      È morta a Roma a 75 anni, a seguito di una lunga malattia, Patrizia Cavalli, lasciando un grande vuoto nel panorama italiano della poesia e della cultura tutta. Era nata a Todi nel 1947, si trasferì nei primi anni settanta a Roma. Il suo esordio avvenne nel 1974 dopo la laurea in Filosofia con un volumetto dal titolo emblematico: “Le mie poesie non cambieranno il mondo”, edito da Einaudi e nato dalla frequentazione con Elsa Morante e a lei dedicato. Il rapporto con l’autrice fu infatti determinante nello sviluppo della sua produzione letteraria e nell’intuizione della sua vocazione poetica.

Tra le sue raccolte di versi ricordiamo Il cielo (Einaudi 1981), nel 1992, sempre per Einaudi, unisce nel volume Poesie (1974-1992) le prime due opere e una terza intitolata L’io singolare proprio mio, seguono Sempre aperto teatro (Einaudi 1999) con il quale ha vinto il premio Viareggio-Repaci, il fortunato poemetto La guardiana (Nottetempo, 2005), poi confluito nella raccolta Pigre divinità e pigra sorte (Einaudi, 2006). Dopo Flighty matters (Edizioni Quodlibet, 2012), libro singolare e fuori canone e oggi modernissimo - dove riusciva a far dialogare poesia (e anche parecchia prosa) e moda -, è uscita la raccolta Datura (Einaudi, 2013). Nel 2019 ha pubblicato la raccolta di prose Con passi giapponesi (Einaudi), finalista al Premio Campiello 2020, volume che testimonia la sua intensissima attività di scrittrice in prosa, un libro che scorre parallelo alle sue sillogi poetiche. Sempre del 2020 è la raccolta di versi Vita meravigliosa (Einaudi).

Le sue poesie sono state tradotte in varie lingue, tra cui il francese, l’inglese, lo spagnolo e il tedesco. Nel 2013 è uscito presso la casa editrice statunitense Farrar Straus & Giroux l’antologia My Poems Won’t Change the World: Selected Poems. Nel 2012 ha pubblicato, con la musicista Diana Tejera, Al cuore fa bene far le scale (Dati Voland), cd e libro con poesie e musiche originali nate dalla collaborazione tra le due artiste (rimangono memorabili le sue letture capaci di riempire i teatri – come successe all’Auditorium di Roma – serate in cui Patrizia Cavalli cantava e declamava poesie a sua scelta e a braccio – scrivendone involontariamente di nuove - , serate alle quali chi scrive ebbe la fortuna e l’emozione di partecipare e che difficilmente si potranno dimenticare). Per il teatro ha tradotto La tempestaSogno di una notte d’estate (Einaudi, 1996), OtelloLa dodicesima notte, poi raccolti in Shakespeare in scena (Nottetempo, 2016), Salomè di Oscar Wilde (Mondadori, 2002) e Anfitrione di Molière (Einaudi, 2010).

Curiosa, sempre attenta a tutti i linguaggi, Patrizia Cavalli ha intrattenuto rapporti di scambio con altre discipline artistiche. Nel 2021 si è proposta anche come artista al Museo Barracco di Roma, in una mostra promossa dal Centro Studi Roccantica e curata da Alessandra Mammì, dal titolo La Vita Nova. L’amore in Dante nello sguardo di 10 artiste. Qui il gioco tra parola e immagine veniva reinterpretato dalla poetessa attraverso alcuni pannelli che dialogavano con il dipinto dell’artista Sabina Mirri, come scriveva Ludovico Pratesi “in una sorta di rêverie che lega idealmente il Medio Evo alle parolibere futuriste”. Nel 2016 è stata insignita della McKim Medal dall’American Academy in Rome, insieme a Giorgio Moroder.

Il suo timbro poetico appare fin da subito personalissimo, proponendo un distintivo connubio di classico e quotidiano che investe tanto la lingua che i contenuti. Intensa, autentica, dolorosa e assieme vitalissima la poesia della Cavalli è sempre stata sostenuta da una certa grazia arguta della lingua, da una musicalità che sembra facilissima e immediata e fresca.

Alla vena epigrammatica, che sembra essere il tratto precipuo delle prime opere, nel tempo comincia ad affiancarsi “un’attitudine intellettuale prosastica, o meglio un gusto del recitativo, ironicamente argomentante in tutta serietà”, come ha scritto il critico Alfonso Berardinelli, che ritroviamo nei poemetti di più ampio respiro degli ultimi libri e nelle opere in prosa.

La lingua di Patrizia Cavalli è antilirica, priva di psicologismi; è pronta e godibilissima e allo stesso tempo asettica, quasi filosofica (sul modello dei testi filosofici razionalisti del Seicento, con sottili richiami alla cosiddetta teoria umorale e, perfino, agli spiritelli cavalcantiani laicizzati).

Eppure, quella di Patrizia Cavalli non è, come si potrebbe —a questo punto— pensare, una poesia filosofica, ma è una poesia lirica nonostante le apparenze. Si è liberata abilmente dai forti legami storici, strutturali e stilistici di molta poesia della seconda metà del novecento, rompendo le gabbie metriche e formali. Da questa scelta parte il suo “endecasillabare” (ovvero una sua tutta naturale tendenza a creare endecasillabi senza una volontà deliberata a stare nel metro): la scrittura poetica, svincolata dagli “automatismi” consci e inconsci (e gli automatismi sono sempre mostrati al lettore e mai nascosti), diventa originalissima e innovativa pur continuando a mantenere uno stimolante rapporto dialettico con la secolare tradizione letteraria.

Le tematiche riguardano la vita nella sua accezione più quotidiana e più alta: l’attitudine della filosofa riecheggia nella sua capacità di innescare fulminanti interrogativi sul proprio sé. La vita amorosa (fatta delle gioie folli dell’innamoramento e delle brutali depressioni delle rotture e delle separazioni), il corpo (sia quello da adorare delle sue muse, sia quello malandato che la ospitava negli ultimi anni), i piaceri della vita (il sesso, il cibo, il gioco delle carte), l’omosessualità (non come questione ma come modalità relazionale acquisita e scelta libera dell’io), le grandi amicizie, la malinconia per il tempo che passa: tutto viene scandagliato in una dimensione che unisce il witz a vertiginose ascensioni liriche di profonda incisività. Una poesia che ha testimoniato sempre contro la morte: una pulsionalità inemendabile e rumorosa e strabordante (La vita è già pompiera in sé abbastanza. / E tu vuoi fare la pompiera aggiunta?), un’onnipotenza infantile e giocosa (perché poi cos’è veramente prendersi sul serio se non saper ridere di noi e delle nostre miserie) sottendono tutta la sua opera in versi. Commuovono gli ultimi video (che amici editori mi hanno inviato) dove si vede Patrizia, pur duramente colpita dalla malattia, attorniata dagli amici, dal cibo e del vino buono vivere fino all’ultimo la sua vita meravigliosa.

 

Ma io non voglio andarmene così […] Un altro è il mio progetto, la mia ambizione/ è accogliere la lingua che mi è data […] oltre il loquace / suo significato, giocare alle parole.



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