Attualità e nuove sofferenze

Voci sempre presenti: "La guerra al terrorismo comincia nella culla" (2002), di RENATA GADDINI, psichiatra e psicoanalista, membro del Comitato Nazionale di Bioetica.

La deprivazione infantile porta a conseguenze gravi ed importanti.


Voci sempre presenti: "La guerra al terrorismo comincia nella culla" (2002), di RENATA GADDINI, psichiatra e psicoanalista, membro del Comitato Nazionale di Bioetica.
immagine da Germania anno zero, un film del 1948 diretto da Roberto Rossellini.

Posto il fatto che è proprio della prima infanzia la costruzione delle basi della persona, dipenderà, quindi, dalla qualità di queste il tipo di rapporto che in seguito questa persona avrà col mondo esterno. Fin dal prenatale è necessario che il nascituro abbia possibilità di esperire e rapportarsi con un mondo accogliente ed attento ai suoi bisogni. I possibili sentimenti negativi e gli eventuali traumi possono essere trasformati in emozioni positive o neutre se I‘ambiente esterno è pronto a provvedere alla loro riparazione. L’odio, il desiderio di morte ed il terrore trovano terreno fertile nella mente dei bambini laddove vi è stata deprivazione affettiva e mancanza di cure fisiche e psicologiche da parte della madre.

Quanto più si approfondiscono, attraverso le ormai estese ricerche sul feto, sulla nascita e sulla prima infanzia, le conoscenze relative alla formazione della mente e della coscienza, tanto più ci rendiamo conto di quanto precoci siano i processi che soggiacciono al funzionamento mentale, e di quanto impellente sia diventato il bisogno di proteggerli da ogni sorta di intrusione, di violazione e di interferenza nel corso di questi processi.
Che cosa ci hanno insegnato le numerose ricerche sul venire al mondo e sull'attaccamento di Ainsworth, Rowiby, Trewarten, Winnicott, Stern, Gaddini e di molti altri? Ognuno di queste ricerche ci ha indicato,  spesso in forma diversa, che è nella prima infanzia che si pongono le basi della persona, e dei rapporti che questa persona potrà avere in seguito con il mondo esterno. Sul piano applicativo, tuttavia, come già ebbi a dire a Trento, le istituzioni non hanno saputo sufficientemente giovarsi delle acquisizioni che potevano derivare da queste ricerche, che vengono tuttora tenute in scarso conto, almeno sul piano clinico.
Vano allora l’orrore che si prova nei confronti della criminalità giovanile in continuo aumento e, più ancora, di fronte al terrorismo che oggi impera, in forme diverse, seminando stragi e lutti in intere popolazioni.
Molti esperti dell'infanzia si chiedono se non sia sulla base dello stravolgimento che si è portato al processo naturale del venire al mondo, e dell'adattamento graduale al mondo esterno che ha luogo al momento della nascita, che l’odio, la rabbia e il "principio di morte" (Ferenczi 1932) prendono il posto del "principio di vita" e di creatività.
Come nasce l’odio? Che ogni bambino venga al mondo ognuno con le proprie disposizioni e vulnerabilità, è fuor di dubbio. Ma questi hanno un valore potenziale, non attuale, e fanno parte di un principio di vita che nasce con ognuno di loro, quando c’è accoglimento. Questo "principio di vita" costituisce una potente spinta a crescere. Dal crescere e dal maturare nei primi stadi della vita - come una naturale continuazione di quanto già avveniva nella vita fetale - derivano le sensazioni e poi le percezioni, e la loro conseguente trasformazione, per gradi, in sentimenti e pensieri.
Alla fine del primo anno questa trasformazione, su cui si basa la successiva capacità di pensare, di comunicare e di apprendere, è acquisita, sia pure in forma potenziale, e contiene gli elementi essenziali per costruire il rapporto con la realtà. L'impressionante spinta maturativa porta rapidamente ad evolvere sia in campo motorio che percettivo e mentale: a un anno, allorchè i bambini cominciano a camminare da soli, hanno accumulato una. serie di acquisizioni ognuna delle quali porta con sè, insieme all'aspetto reale, i vissuti e le esperienze del passato, di tutto il passato, compreso quello pre-natale, che entrano a far parte del loro funzionamento mentale.
Quali sono le protezioni che la natura ha fornito al bambino, lungo questi primi passi del crescere? Una protezione sicura è quella di permettere al feto di vivere in pace la sua vita pre-natale e al neonato di venire al mondo mantenendo il contatto con la madre (odore, tatto, ritmi di vita, gli stessi con cui è vissuto quand'era nel suo ventre), in modo da favorirne il raccoglimento. Quando il raccoglimento è pervaso di affetto si nota la sintonia tra madre e figlio tanto che a tratti sembrano un tutt'uno, e sembrano comprendersi interamente nei loro bisogni.
Se si mettono da parte le varie complicazioni" che interferiscono con l’allattamento al seno, (latte troppo grasso, miopia della madre, eccessivo "nervosismo", malformazioni del capezzolo, ecc.), mai giustificate  scientificamente,
debbo dire che ben raramente mi sono incontrata con una madre che "non poteva allattare", posto che le fosse stata offerta la possibilità di attaccare il bambino al seno dall'inizio, a sua richiesta, e posto che le fosse dato un attento appoggio psicologico. Il far mancare a madre e bambino questa importante opportunità di sintonia (non tanto attraverso il latte, ma attraverso l’intero processo dell'allattamento) è per me un abuso, una violazione dei diritti umani, cui occorre mettere un riparo, pena altrimenti il rischio di innescare angoscia e terrore in luogo di fiducia e benevolenza. "Con le conoscenze di oggi, sappiamo che chi non ha potuto contare su una funzione di base che facilita, con la fiducia, il vivere e l’apprendere, ma soprattutto non è stato in grado di assorbire e metabolizzare i dolori, le difficoltà, i traumi, i malesseri che sempre accompagnano la vita., potrà risultarne ferito, intasato, anche in modo drammatico... E' difficile aiutare, in seguito, chi non ha avuto una sufficiente attrezzatura alla nascita ... aiutare chi non ha potuto costruire, poco alla volta, una strumentazione adeguata ad affrontare i problemi che verranno... Oggi un analista è un essere conscio della sua umanissima sofferenza, ma è capace di raggiungere il paziente nel punto in cui si trova (anche il più primitivo n.d.r.) e, se non arriva troppo tardi, di aprire la possibilità di una crescita, o di una radicale trasformazione... Personalmente non credo nel modo più assoluto che esista un istinto di morte, se non come accumulo di quanto non è stato reso pensabile attraverso le generazioni. E sicuramente non siamo davanti a un dogma: è uno dei tanti temi di cui si dibatte. (Ferro A. 2002).
Come sono arrivata a queste conclusioni. È stata la mia lunga esperienza con bambini di questa prima età ad insegnarmi che allontanare un bambino dalla madre alla nascita interferisce con le protezioni che la natura gli aveva provveduto nell'atto del venire al mondo. Noi - queste interferenze - non ce le possiamo permettere.
Dopo la pediatria, mi sono dedicata per anni alla psichiatria, in Italia e all'estero, mentre procedeva la mia formazione di psicoanalista. Ciò mi ha permesso di vedere a distanza alcuni di quei bambini che avevo visti neonati. Fin dal '52, avevo infatti istituito nella Clinica Pediatrica di Roma un Servizio di salute mentale dove lavoravano con me neuropsichiatri, psicologi e assistenti sociali. Ciò mi permetteva di vedere sia in ambulatorio che in corsia bambini che presentavano difficoltà di varia natura. È stato questo poter vedere a distanza bambini che avevamo visto a pochi mesi e a pochi giorni di vita che mi ha permesso di prendere coscienza di quanto si può perdere sottraendo al bambino la presenza della madre alla nascita. Devo aggiungere che nel 1963, con una borsa di studio dell'Organizzazione Mondiale della Sanità, ho fatto un lungo stage alla Clinique Baudeloque di Parigi, rinomato centro per lo studio neurologico e neuropsichico del neonato - per caso non ci siamo incontrati con Relier, che ha fatto una simile esperienza alla Baudeloque - e, dopo Parigi, un breve stage a Groeningen, da Prechtl, che conduceva allora ricerche analoghe su animali. 
Forte di queste esperienze, nell’aprile del 1964, ho organizzato a Roma un Simposio Internazionale sui "Problemi neurofisiologici, neuroclinici e psicologici del neonato a termine e prematuro" (Roma, 1-2 Aprile  1964). Tra gli invitati di rilievo c'erano Ronald Mac Keith e Richmond Paine per gli aspetti neurologici, Tizard per quelli pediatrici, e Winnicott per quelli psicoanalitici. C'era inoltre l’intero gruppo della Baudeloque, con cui mi sentivo, al momento, particolarmente affine e, in particolare, c'erano la dr. Larroche che si occupava dello sviluppo del OFEF nel sistema nervoso centrale durante la vita intrauterina, e la dr. Dreyfus Brissac che studiava l'ontogenesi del sonno nel prematuro. Il nostro Simposio fu, in assoluto, il primo Convegno Internazionale di "Infant Research" (che doveva poi diventare tanto di moda), che ebbe luogo in Italia. Fu anche la prima volta, quell'aprile del '64, che il neonato ebbe l’onore, come si evidenzia dal titolo dello stesso convegno, di essere considerato un soggetto psicologico e che divenne chiaro per molti che "la cura fisica e quella psicologica sono le due facce di una moneta" (Winnicott, 1966). Alcune delle parole pronunciate da Winnicott nel corso del dibattito che ebbe luogo dopo la sua bella relazione, mi sono rimaste nella
mente. Ho preso nota delle parole di Winnicott. Il suo pensiero è che non sia necessario entrare nell'intero mondo immaginativo della madre, nel momento in cui si trova di fronte al suo bambino, nè rilevare le sue eventuali connessioni tra sè ed i vari processi fisiologici del neonato (nascita, suzione, eliminazione delle feci e così via). Si può semplicemente dire che la madre ha un'estrema capacità di identificarsi con variabili a volte estreme, anche in senso patologico, variabili che scaturiscono da lei stessa e che investono il bambino in maniera diretta. Si potrebbe forse ricordare a questo proposito come la sua identificazione arrivi a volte a gradi davvero estremi, fino al punto di desiderare di incorporarsi di nuovo il proprio bambino e quindi anche di mangiarlo.
Ciò che si origina con la nascita non naturale, è la scissione di quel mondo (prenatale) che prima era una unità, in un sistema psichico soggettivo e in uno oggettivo, provvisti ciascuno del proprio sistema mnestico... È solo nel sonno che si riesce, a volte, a recuperare l’unità che aveva luogo nel ventre della madre, recupero che traspare attraverso la beatitudine dei sorrisi" nel sonno. Quando invece la nascita si svolge secondo natura, essa non è altro che una perturbazione passeggera della situazione intrauterina. Il bambino si sveglia per un momento, e riprende poi a dormire nella culla. II "trauma della nascita" è per questo senza  pericoli, e non lascia dietro di sè segni sostanziali, perchè l’ambiente provvede, subito, alla riparazione. Il vero trauma dei bambini è vissuto nelle situazioni in cui non ci si preoccupa di porre immediato riparo al danno e in cui, pertanto, si impone un adattamento, cioè un cambiamento del proprio comportamento, primo passo per stabilire la differenza tra mondo interno e mondo esterno, tra soggetto e oggetto. D'ora in avanti nè l’esperienza soggettiva nè quella oggettiva da sole costituiscono più una completa unità emotiva. 
Osserva Ferenczi, secondo soltanto a Freud nello studio della mente umana: "Se il trauma colpisce un'anima o un corpo impreparati, vale a dire senza che sia presente un "controinvestimento", allora esso agisce sul corpo e sullo spirito in modo distruttivo, cioè frammentandoli. La forza coesiva dei singoli frammenti ed elementi viene a mancare. Frammenti di organo, elementi di organo, frammenti ed elementi psichici  vengono dissociati. A livello fisico, ciò si può ben definire come anarchia degli organi, parti d'organo ed elementi d'organo cui soltanto la reciproca collaborazione rende possibile il corretto funzionamento  complessivo, cioè, la vita. A livello psichico, la dirompente violenza, in assenza di un solido controinvestimento, provoca una specie di esplosione, una distruzione delle associazioni psichiche tra sistemi e contenuti, che può raggiungere gli elementi di percezione più profondi... Le sue tracce mnestiche sono come i solchi di un disco, depositari di una singola vibrazione. L'onda singola è l'unità di massa del tempo reale, vale a dire della resistenza degli elementi corpuscolari contro il cambiamento, cioè contro le spinte dell'ambiente. Il bambino non protetto è, per così dire, pronto a esplodere... La sensazione di non essere amato e di essere detestato, fa sparire il desiderio di vivere, vale a dire di essere riunificato (Ferenczi S. 1932). (2)
Com'è noto, Ferenczi era convinto che, nell'organismo femminile, cioè nella psiche, sia insito un principio, specifico della natura che, in contrasto con quello dell'egoismo e dell'autoaffermazione presente nell'uomo, può essere interpretato come un volere - e potere - soffrire materno. La capacità di soffrire sarebbe di conseguenza un'espressione della femminilità, anche se il soffrire, il subire e il tollerare si verificano in qualsiasi ambito della natura e quindi apparentemente del tutto al di fuori della identità di genere. Anche se può sembrare esagerato, non è forse irragionevole parlare del fatto che quando una forza o una sostanza 
"soggiace" all'influsso mutevole, modificatore, distruttore di un'altra forza, insieme alla intensità relativa e assoluta della forza si deve tener conto dell'influenza del femminile, di cui si deve supporre ovunque la presenza, La sofferenza (per la donna n.d.r.) non è soltanto qualcosa di tollerabile, ma persino qualcosa di desiderato, una fonte di soddisfazione. Esempio fondamentale: il piacere della maternità effettivamente il piacere di tollerare esseri viventi parassitari che si sviluppano in maniera del tutto egoistica a spese del corpo della madre. Una analogia a ciò è la sofferenza dell'essere umano assetato di amore, la cui vista
risveglia il principio femminile della volontà di conciliazione. Senza pronunciarsi sulle differenze di valore di queste due forze naturali (l’altra, è la tendenza a liberarsi, a qualsiasi costo, da una quantità di tensione che causa dispiacere: è l’egoismo n.d.r.) sembra tuttavia certo che il principio femminile, vale a dire il principio di sofferenza, sia il più intelligente. Il più saggio cede". Una sofferenza molto intensa... ma soprattutto se è imprevista, ha un effetto traumatico, esaurisce la pulsione di affermazione e lascia penetrare in noi le forze, i desideri e persino le caratteristiche dell’aggressore. (3)
Sotto la pulsione di affermazione si può porre il principio del piacere freudiano, sotto la pulsione di conciliazione il principio di realtà.
Perché chi è colpito dal terrore imita (magia della imitazione) i tratti terrificanti del terrore stesso, compreso i tratti del volto di chi lo ha indotto? La maschera del ricordo si sviluppa sempre a prezzo della morte temporanea o permanente di una parte dell'lo. La vera imitazione (non il semplice mimetismo per non essere visti) è esclusiva del genere umano, e nasce alla base del funzionamento mentale. È una 
organizzazione mentale che ha luogo su un vissuto, come accade nei primi modelli di funzionamento mentale.


La radice del terrorismo 

Ciò che serve soprattutto ai bambini deprivati - e questa è la ragione per cui la loro mente viene attivata in modo tanto precoce e intempestivo - è di alleviare, attraverso il pensiero, l’incontro con la dura realtà in cui essi si sono trovati a vivere dai primi tempi, realtà dove processi trasformativi da parte di una madre che si adattasse attivamente ai bisogni del figlio sono venuti a mancare. Nella loro attivazione precoce e  intempestiva della mente non di rado i bambini deprivati fanno un uso distorto o addirittura perverso del pensiero, che non viene da loro usato per elaborare le sensazioni e le percezioni che ne sono la base, bensì per evadere (con rabbia) dalla realtà, troppo dura per essere da loro tollerata, e forse anche per cercare di "capire" a loro modo come una tale sopraffacente realtà possa avere avuto luogo. Su molti di questi  bambini deprivati e precocemente violati nei loro diritti umani, la dura realtà incombe su di loro come una catastrofe anche nei tempi successivi.
Qual è dunque la radice del terrorismo? Quand'è che si avvia la strada funesta che porta alla catastrofe, alla fine del mondo? Qual'è il tempo della mente umana in cui il terrore raggiunge immagini distruttive, tanto da interferire con il desiderio di vivere? Possono, gli stravolgimenti del nascere, fare parte di queste rotture abissali? 
Molti dei concetti che riguardano la memoria dei bambini nei primissimi tempi della vita li abbiamo appresi, oltre che dagli scienziati della memoria (Kandel incluso), dai desaparecidos, i bambini argentini rivendicati  dalle nonne della Plaza de Majo, i quali hanno costituito per noi una fonte di conoscenze insospettate. È nata così la questione transgenerazionale, che oggi è diventata un argomento di studio da parte di molti, specie da quando è stato notato - per lo più attraverso il lavoro analitico - quanto le memorie represse o taciute delle nefandezze commesse in regimi dittatoriali e in periodo bellico possano influenzare la
costruzione della identità dei figli (discendenti e nipoti), sia che atrocità e soprusi siano stati commessi dai genitori aventi funzioni di mandanti o di esecutori, sia anche che siano stati da loro subiti, come è accaduto per le vittime calpestate e annichilite sopravvissute all'Olocausto. L'introduzione al libro di Winnicott, "Il bambino deprivato", che ha come sottotitolo "Le origini della tendenza antisociale", è firmato da Clare  Winnicott, sua compagna di lavoro negli studi condotti sui bambini evacuati da Londra durante la seconda guerra mondiale. 
Questa introduzione comincia con queste parole: "Non riteniamo esagerato affermare che le manifestazioni di deprivazione e di delinquenza in seno alla società costituiscono una minaccia tanto grave quanto quella della bomba atomica. In effetti è sicuramente una connessione tra i due tipi di minaccia, poichè nella misura in cui si sviluppa l’elemento antisociale nella società, nella stessa misura aumenta il potenziale distruttivo che raggiunge un nuovo livello di pericolosità. (Winnicott, 1987). Anche noi non riteniamo esagerato porre la massima attenzione nel cercare di prevenire quanto prima possibile ogni elemento che possa facilitare, in situazioni particolari, lo sviluppo di comportamenti antisociali e terroristici, in bambini deprivati nella prima infanzia. 
A uno dei compiti pratici che più gli stavano a cuore Winnicott pensava di aver mancato, nell'uscire di scena: a quello di far passare il concetto che la cura fisica del bambino, e quella psicologica, sono come le due facce di una moneta. Ma - osservava - non si può mandare un bambino con la polmonite da uno psichiatra, e non si possono cambiare i medici. Ciò che si può fare è aiutare i genitori a capire come meglio fare uso  di essi. In questo senso, i genitori avranno ragione di non sentirsi delusi.

“La guerra al terrorismo comincia nella culla” è un articolo del 2002, ed è stato presentato al Convegno: “L’umanizzazione della nascita nelle strutture ospedaliere: un impegno ed una promessa per la donna, la coppia ed il neonato”. Reggio Emilia, 7-8-9 Giugno 2002. È stato poi anche portato al 12^ Encuentro 2003 APU a Montevideo, Uruguay, 17-18 Oct 2003, come conferenza di apertura.
 

BIBLIOGRAFIA
De Benedetti Gaddini R. (1979) 11 processo maturativo. Dall'unità madre-bambino alla formazione del S6. Cleup Padova V. Prati 19
De Benedetti Gaddini R. (1984) Dal Biologico, al Mentale. Lombardo Editore - Roma 
Gaddini R. (1987) Early care and the roots of internalisation. Intern. Review Psycho-Analysis 14.21
Ferro A. (2002) Dopo la caduta dei dogmi. Intervista " La Repubblica'(Luciana Sica) 23 febbraio 2002
Ferenczi S. (1919-1936) Opere Vol. III Cortina, Milano, 1992, pag. 370
Ferenczi S. (1932) Diario Clinico. Cortina edit. Milano, pag. 97
Winnicott D.W (1987) I bambini e le loro madri. Cortina Ed. Milano Winnicott D.W (1987) Il bambino deprivato: le origini della tendenza antisociale. Cortina Ed. Milano. Titolo originale. 'Deprivation and Delinquency’. The Winnicott Trust 1984

 



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