Cultura, cinema e arte

Garrone in viaggio con i migranti al di là di ogni umana sopportazione - F. Salierno

Garrone vince il Leone d’Argento. Il regista offre la macchina da presa a due giovani migranti


Garrone in viaggio con i migranti al di là di ogni umana sopportazione - F. Salierno

Il nero della pelle contrasta col chiarore del deserto. Il sudore, la sete, la fame, il dolore, si contrappongono  all’idea sognante di un paradiso in terra dove vivere una vita comoda ed agiata.

Le urla, le torture, gli stupri, la pelle a brandelli, tutto quello che resta di esseri umani. Poi la tensione, la paura, in un viaggio dove l’unica vera compagna è la speranza e la forza di sopravvivere. La questione dei migranti è politica. Come lo è il film di un Garrone che prende le parti di chi perde tutto, il Paese di provenienza, la famiglia, la dignità, per intraprendere la via di un’illusione. Pasto succulento per le fauci di mafiosi africani, a rischio di divenirlo per sfruttatori europei.

Garrone ha incontrato i due protagonisti a Dakar e lì ha fatto i provini. Seydou e Moussa, i protagonisti, partono proprio dalla capitale del Senegal. Due ragazzi semplici, con la passione per la musica e il desiderio di compiere il salto verso l’Eden, l’Europa, dall’inferno della loro città natìa, al posto della valigia, l’aspirazione a diventare star della musica. Seydou Sarr, l’attore protagonista, ha vinto il premio come miglior esordiente. Emozione doppia, come rappresentazione del raggiungimento del successo dopo un viaggio incredibile, visto il luogo di partenza.

Dice, il regista, in un’intervista, di raccontare “in soggettiva”, cioè dal loro punto di vista, che è la cosa più dura. La telecamera “in controcampo” viaggia nel deserto e nelle anime di chi lo attraversa, lasciando le orme anche di chi ne muore, e nel film spicca il volo nell’unico atto di libertà. Dal deserto il viaggio passa al mare, in balia delle onde e della disperazione.

“Il paese dei balocchi, seppur inseguito, diviene una meta sempre più oscura e lontana”, dice Garrone. Dove comincia un’altra Odissea, aggiungo io. L’Occidente è un posto ostico per i deboli che cercano accoglienza. La paura dell’estraneo porta a chiudere tutte le porte al grido di “non c’è spazio per tutti”. Un po’ come avere la pretesa di fermare il vento.

Il cinema neorealista contemporaneo è nuovamente servito nel piatto dell’arte, quella necessaria.

Fondamentale, infatti, là dove diventa denuncia e strumento di riflessione per chi mette in atto la negazione di certe realtà. Il regista romano riesce nel compito arduo di restituire allo spettatore l’asprezza, facendolo con delicatezza, le emozioni senza retorica. L’ultima scena è un quadro, da guardare con cura, a occhi spalancati. E il cuore aperto. Come dovrebbero essere tutte le porte, verso chi bussa, dopo l’ultimo passo, degli infiniti già compiuti.

 



Partners & Collaborazioni