Attualità e nuove sofferenze

Fare rizoma con Lorena Preta - di C. Buoncristiani, L. Preta e T. Romani

Aspettando il prossimo numero di Multiversi: "Il gioco delle mutazioni"- Teaser #1


Fare rizoma con Lorena Preta - di C. Buoncristiani, L. Preta e T. Romani

Mutazioni antropologiche, qualcuno ci riflette nel tempo. Era il 2008 quando Psiche, diretto da Lorena Preta, tematizzava così l’ultimo numero di una serie tutta dedicata all’orizzonte in trasformazione. A distanza di quindici anni il meno che se ne può dire è che quell’intuizione, fatta di riflessioni psicoanalitiche e saperi interdisciplinari, fosse profetica. Sguardo su un futuro che è il presente in cui siamo immersi.

Proprio per questo abbiamo deciso di intitolare il prossimo numero di Multiversi, la rivista di approfondimento del Centro Psicoanalitico di Roma, Il gioco delle mutazioni. Oggi la psicoanalisi intercetta segni in gioco, effetti di un cambiamento che mette in discussione la centralità del soggetto e problematizza i limiti dell’umano. 

Quale occasione migliore per avere uno scambio con chi da pioniera se ne è occupata. 

Una soggettiva libera indiretta

Ci siamo quindi incontrati in modo informale con l’ex direttore di Psiche, Lorena Preta, interrogandoci insieme proprio a partire da questa temporalità, in una prospettiva epistemologica segnata dal divenire della mutazione. Non è stato sufficiente un solo incontro e neanche due. Non è stata solo un’intervista come avevamo immaginato all’inizio: lunghe conversazioni hanno costruito un “campo” attraversato da problemi, pensieri, traiettorie diverse e intense aree di sovrapposizione. Soprattutto mutazioni.  Anche la costruzione del nostro lavorare insieme si è trasformata nel tempo. C’è stato uno scambio, un processo di dare e avere in prestito.
È per questo che ci è sembrato interessante non trascrivere il nostro lavoro come un’intervista, ma usare il discorso indiretto libero. Perché i concetti e le soggettività non esistono di per sé ma solo in traduzione con altri. Nel nostro piccolo gruppo di lavoro la causa comune ha fatto emergere una contaminazione. Nel riportare le riflessioni che sono emerse proviamo a usare quella inquadratura che Pasolini definiva “soggettiva libera indiretta”, per cui “l’istanza narrante si sgancia da una soggettività specifica e partecipa affettivamente” alla conversazione, mettendo all’opera quella che Paolo Fabbri chiama “una trans-semiotica”, ovvero “un’attività costante di traduzione” di un pensiero nell’altro. 

Cominciamo.

Life is out of joint

Nel libro Dyhsphoria Mundi Paul Preciado scrive che nel corso di un cambiamento di paradigma, per lungo che sia un processo, c’è sempre un momento nel quale il tempo si capovolge. Time is out of joint, il tempo è andato fuori dai cardini, come diceva Amleto dopo aver parlato con il fantasma del padre. Ci chiediamo se ciò che stiamo intuendo è un cambio radicale che potrebbe essere già il nuovo paradigma - e che consisterebbe nel collasso del tempo in un’accelerazione vorticosa e impensabile - oppure se il gioco della mutazione ci metta nella posizione di essere tra: sospesi tra un prima che sta tramontando e un poi ancora non installato.
Come pensare il tra?  Meglio sarebbe chiederci come pensare nel tra. Pensare la mutazione come ciò a partire da cui si producono effetti, flussi, velocità, direzioni e prendono forma pensieri-azioni: dentro c’è il corpo, il molteplice, la differenza, il divenire, ecc, che via via occupano la posizione di vertice da cui si parla. Il lavoro che cerchiamo di svolgere evita di fermare identità o definizioni stabili della mutazione,   ma preferisce scriversi nel suo gioco.
Questi effetti non derivano da una mutazione intesa in senso meta storico: ma sono prodotti del nostro tempo, hanno cause materiali. Biotecnologie, bodyhacking, nanotecnologie, ingegnerizzazione del corredo genetico, body modification, intelligenza artificiale, interfacce neurali, uploading del cervello, così come le nuove possibilità del design tra organico e artificiale, il cyborg, la body art, le tecnoperformance concorrono all’espansione del corpo (ancora umano?) come evoluzione della domanda di Spinoza su cosa può un corpo.
Da parte loro filosofi della fenomenologia e pensatori post moderni, decostruzionisti e post strutturalisti, filosofi e sociologi della scienza, rappresentanti del post femminismo, teorie queer, cyberfemminismo, cultural studies, antropologia sociale, realismo speculativo, object oriented onthology  “hanno contribuito tra la fine del secolo scorso e i primi vent’anni del nuovo millennio a definire i contorni di un nuovo essere umano in relazione non gerarchica con tutti gli elementi, organici e inorganici, che lo circondano” (Mancuso, 2023). Abbiamo così sempre più a che fare con un cyborg tecnoscientifico, un nomade semantico, una chimera, che sono costrutti capaci di superare i dualismi di materia e significato, natura e cultura, sesso e genere, scienza e tecnologia.

Come muta la psicoanalisi? Muta?

Proviamo ad espandere la prima ipotesi, quella del cambio radicale e apocalittico. In un momento di cambiamento l’Apocalisse è sempre un orizzonte degli eventi ovvero l’immagine di un’angoscia catastrofica sempre in agguato quando una forma esplode.  
Lo abbiamo percepito di recente con la Pandemia, che ha reso visibile la vulnerabilità e la caducità del concetto di umano. Dell’uomo stesso.
D’altronde in modo meno Hollywoodiano possiamo pensare il cambiamento come processo tra, che introduce alla domanda sul rapporto tra Uno e Molteplicità. Una forma che ha organizzato il “prima” viene meno e si aprono molteplici possibilità. Qui l’aspetto interessante è che l’angoscia sembrerebbe quella di non avere più il vecchio organizzatore, mentre non se ne vedrebbe ancora uno nuovo. Cosa succederebbe se non ci fosse Una nuova forma ma se il Molteplice volesse farsi forma? L’avremmo fatta finita con la castrazione? O sarebbe la disforia, come mancato adattamento ad un modello, a farsi paradigma? 
Lasciando aperte queste domande cerchiamo di pensare gli effetti del cambiamento sui miti di cui disponiamo come analisti. Ad esempio quello della Sfinge. Della Sfinge abbiamo due versioni: quella egizia, sapienziale e rivolta ad un sapere compiuto e quella greca sensuale e visionaria. Freud stesso propende per la prima ma non dimentica mai la seconda. Chissà oggi quale domanda la Sfinge porrebbe ad Edipo. Probabilmente una Sfinge figlia del suo tempo non porrebbe più un enigma la cui soluzione è “l’uomo”. L’uomo come universale ha finito per essere l’enigma stesso. Ha ancora senso oggi chiedersi che cos’è l’uomo, domanda trascendentale per eccellenza? O siamo piuttosto incalzati da una domanda su quale è l’uomo, cosa lo costruisce, nel senso di quali rapporti di forze, potenze e intensità concorrono a formare l’umano? Mentre la domanda astratta sull’essenza finisce per bloccare la dinamica del movimento, la domanda drammatizzata in direzione delle condizioni materiali che rendono possibile la risposta, è tesa a cogliere le spinte e i flussi come cause. 

Partire da una domanda “materialista”, fare attenzione alle spinte in campo, apre necessariamente la psicoanalisi ad una sensibilità politica, ma contemporaneamente la espone al rischio delle parole d’ordine, delle polarizzazioni, delle censure. 
Come psicanalisti nella mutazione continuiamo a pensare con i nostri miti, il nostro metodo. La posizione del nostro pianeta è in movimento, ma è pur sempre un luogo da cui facciamo e produciamo esperienza del mondo. Il punto del nostro metodo qui non è scegliere in modo binario tra una Sfinge sapienziale delle rappresentazioni organizzate e una Sfinge sensuale, visionaria, “in-formale” e onirica, ma la temperatura e la velocità con cui ci spostiamo e traduciamo costantemente queste. 
Questi movimenti attraversano le soggettività, ma per coglierne le temperature più che osservare il soggetto occorre immergersi nella sua produzione. Lavorare il farsi della sua produzione, considerarne i prodotti. Al limite il soggetto è un effetto del divenire di queste energie e forze, della produzione del desiderio. Effetto dunque di un campo di intensità su cui fluiscono i movimenti di soggettivazione, che non cristallizzano identità ma favoriscono identità in un movimento nomade (R.Braidotti, 2011). 
Non stiamo pensando ad una “psicoanalisi frikkettona”, ma anzi il nomade solleva importanti questioni etiche rispetto ai confini e dunque ai limiti. Limiti sempre da negoziare in una dimensione comunitaria (R. Esposito, 1998). Come psicanalisti da problematizzare sempre a partire dall’Inconscio. 
Tale movimento non potrà che porci la questione dell’autopoiesi di questi processi, in cui gli elementi sono costantemente eterocliti ed entangled (K.Barad, 2021), interallacciati e molteplici. In una continua tensione tra una spinta all’organizzazione e una plasticità che ne dinamizza e dissolve le forme. Qualcosa di molto diverso dunque da un fantasma di autogenerazione, sempre autoreferenziale e illusoriamente slegato dall’alterità. 
Il nuovo mito, come ipotizzato da Francesco Corrao, rischia di essere quello di Dioniso, con le sue qualità orgiastiche e di violenza ingiustificata, e non più un Edipo sempre rimandante ad una dimensione di colpa. Tradotto da un fantasma di autogenerazione questo esiterebbe in un imperativo superegoico. Tu devi consumare, godere, darti un’identità piena, felice e soprattutto auto-determinata. 
Ma è pur vero che in Dioniso incontriamo lo straniero, Xenos, il dio delle intensità, della decostruzione e dello smembramento, un dio disforico e cyborg, zoé, bambino perverso polimorfo, che ci perturba e ci interroga sulla complessità e su cosa sia oggi divenire umano. 

Immagine di copertina : "Nel tra" di L. A. 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 



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