Eventi e attività scientifica

Convegno Intercentri CdPR-CPdR, “Sessualità in transito” (5 novembre 2022) Report di Chiara Benedetti e Valeria D’Angelo

Un momento di scambio e riflessione analitica sul tema della sessualità “allargata” e delle relazioni.


Convegno Intercentri CdPR-CPdR, “Sessualità in transito”  (5 novembre 2022)   Report di Chiara Benedetti e Valeria D’Angelo

Si è svolto il 6 novembre 2022 un convegno sui temi legati a sessualità e genere, nelle loro diverse declinazioni attuali dal titolo “Sessualità in transito”. L’intento nel proporre questa giornata, organizzata dai due Centri romani, era quello di riprendere le riflessioni analitiche sul tema e di svilupparne di nuove. Tale approccio sarà largamente presente nei lavori proposti.

I lavori della mattina, coordinati da Alessandra Balloni e Fabio Castriota, iniziano con un’introduzione di Tiziana Bastianini, la quale, punteggiando sulla complessità delle relazioni tra sessualità e amore, ci ricorda che la sessualità allargata è la grande scoperta psicoanalitica e che pertanto, da analisti, dobbiamo chiederci se sia possibile tratteggiare una metapsicologia ampliata del sessuale.

I nuovi scenari erotici, seppure estremamente complessi, consentono la salvaguardia del piacere sessuale e sono delle forme di oggettivazione psichica capaci di salvaguardare l’identità soggettiva attraverso il sentimento di sé preservato. Possiamo imparare ciò solo attraverso un ascolto analitico che non venga saturato dai nostri convincimenti. Fu d’altro canto lo stesso Freud ad affermare che “nel senso della psicoanalisi, anche l’interesse sessuale esclusivo dell’uomo per la donna è un problema che ha bisogno di essere chiarito e niente affatto una cosa ovvia”. Quale affermazione potrebbe essere più incisiva nel promuovere lo sviluppo delle riflessioni già teorizzate? Con Ramachadran nota poi come l’immagine corporea specifica per il genere sia percepita dall’interno perché interamente cablata nel cervello. Dobbiamo pertanto continuare ad interrogarci sui percorsi di soggettivazione e su quali siano le forze psichiche che potranno far mantenere al soggetto contemporaneo l’equilibrio libidico nel preservare il sentimento di sé e l’investimento degli oggetti interni ed esterni.

Il nostro compito come analisti è di continuare a ricercare per comprendere la specificità di ogni singola espressione di vita e di legame psichico. Ciò è possibile se entriamo in dialogo con le forme di pluralità psichica del paziente comprendendolo con la nostra “funzione analitica della mente”, ovvero entrando in relazione con l’altro, riflettendo e mantenendoci in dialogo con noi stessi.

La prima relazione che ascoltiamo è quella di Renè Rousillon che ci offre una riflessione sulla pluralità e l’evoluzione del paradigma sessuale, a partire dal controtransfert che si trova nella rappresentazione dei vari modelli. La domanda di fondo è quali siano le rappresentazioni cui ci dobbiamo riferire nella riflessione sul tema sessuale.

Nell’evoluzione della metapsicologia freudiana ci sono due paradigmi fondamentali: il principio del piacere-dispiacere, e l’andare al di là del principio del piacere.

Il primo modello incontra però degli ostacoli. Sono l’introduzione del concetto di Io e la melanconia a metterlo in discussione. Il piacere diviene infatti appannaggio dell’Io e contemporaneamente la soddisfazione pone il problema della relazione con l’oggetto. La malinconia dal canto suo introduce un dilemma: l’insoddisfazione, il fallimento e la delusione vengono sperimentati nella ricerca del piacere, e quindi la ricerca stessa del piacere provoca dispiacere. Riflettendo sui tratti del carattere e la contraddizione tra piacere e dispiacere, sulla loro netta differenza, Freud nota come spesso tra questi vi sia un ribaltamento, come ad esempio nel masochismo, in cui è il dispiacere a provocare piacere. L’opposizione tra piacere e dispiacere non è dunque più valida.

È anche lo stesso sogno a porre in questione il paradigma freudiano: il sogno traumatico, infatti, si contrappone al piacere. L’aver riconosciuto come tendenza dominante della vita psichica lo sforzo che si esprime nel principio di piacere, ovvero mantenere costante o eliminare la tensione interna provocata dagli stimoli, è uno dei motivi che spingerà Freud ad evocare una enigmatica pulsione di morte. Siamo così di fronte, sostiene Roussillon, ad una formulazione di un principio alternativo, non antagonista a quello del piacere, ma complementare ad esso, dove l’esperienza soggettiva del paziente vissuta è importante e viene trasferita in una realtà per la persona.

Freud va ad articolare l’esperienza soggettiva con il desiderio dicendo che quando non c’è piacere a sufficienza deve entrare in campo l’eros che crea legame, e quando questo non è sufficiente è necessaria la co-eccitazione sessuale che garantisce il massimo del piacere.

Al cuore della questione c’è la proposta in cui le prime esperienze soggettive sono alla base dell’identità della persona, del primato del piacere-dispiacere e di una sessualità integrata anche nell’Io; il problema nasce quando non c’è sufficiente integrazione e piacere: in questo caso si cerca di sopravvivere e si verifica una sessualizzazione post-traumatica. Due sono le vie possibili dunque: il dominio del piacere-dispiacere laddove ci sia l’esperienza di piacere primario buona, e quindi, come dice Winnicott, dove si crea un’integrazione, un’identità di pensiero e lo sviluppo di simbolizzazione; la seconda via è andare al di là del piacere-dispiacere, laddove risiedono le esperienze traumatiche non integrate che non permettono lo sviluppo della persona in quanto, dovendo essere legate, sarà necessario dar luogo alla co-eccitazione sessuale, la quale, a sua volta, produrrà una sessualizzazione anche attraverso le esperienze narcisistiche che andranno a creare una forte soddisfazione sessuale. La co-eccitazione però crea una difesa contro i traumi e non un loro superamento. Dunque, l’organizzazione psichica andrà a costituirsi come difesa contro le agonie primitive.

Emanuela Fraire si presenta attraverso le sue due identità: femminista e psicoanalista. Da queste due posizioni e formazioni parlerà, dicendo peraltro che in questa congiuntura storica, femminismo e psicoanalisi si convocano reciprocamente più che mai.

A partire dalla casistica della sua attività di supervisione, nota come sia molto in aumento e consueto il rivolgersi alla psicoanalisi da parte di giovani su questioni che ruotano intorno al genere. Nel dire questo sottolinea come non utilizzi il termine disforia di genere perché, con questa parola, si dichiara l’esistenza pregressa, quanto meno nella mente di chi la utilizza, di una diagnosi. Con grande determinazione Fraire dichiara di non essere soddisfatta delle teorie che ruotano attorno al genere e che, su questi temi, si colloca in maniera problematica nel suo essere donna, analista e femminista. Le posizioni anti-binarie hanno a che vedere con la teoria della conoscenza ed in questo momento assumono una grande concretizzazione in tematiche sociali, culturali ed anche psicopatologiche.

Fraire ricostruisce come il termine genere non esista nel linguaggio freudiano non essendo le parole genere e sesso sempre distinti nella lingua tedesca. L’uso del termine gender viene inaugurato da un sessuologo ed introdotto da Stoller nel discorso psicoanalitico, ed è con lui che tale nozione diviene sinonimo del sentimento soggettivo di appartenere al gruppo sociale dei maschi o delle femmine.

È il movimento femminista ad aprire un dibattito intorno al gender. Nel corso del lavoro, riportando il pensiero della filosofa americana Judith Butler, cita “ogni volta che tento di parlare del corpo, finisco per scrivere del linguaggio”, sottolineando il carattere alienante degli enunciati ed immaginando un soggetto che possa radicare il senso della propria esistenza rigettando l’importanza della storia che lo precede. Aulagnier, nota Fraire, pur non occupandosene direttamente nel suo discorso sul linguaggio, intercetta le teorie sul genere da un punto di vista metapsicologico.

Le critiche rivolte dal movimento femminista all’impianto androcentrico del pensiero di Freud sono collegate con l’ascolto che il dibattito sulle questioni legate al genere hanno ricevuto all’interno del movimento femminista. Se esistono contributi critici nei confronti della teoria freudiana della femminilità appare invece meno esplicita una messa in discussione del rapporto donna/maternità.

L’intervento si chiude con l’esplicitazione del rischio che la comunità analitica tenda ad accontentarsi, nelle analisi, del raggiungimento di un livello omeostatico che depotenzia l’effetto creativo della pulsione sessuale.

Nelle nostre stanze abbiamo la possibilità di fare esperienza delle molteplici possibilità all’interno della varianza di genere (maschile, femminile, neutro, ecc.). Nel prestare questo ascolto, gli assiomi fondamentali della nostra disciplina non vanno messi in discussione per quello che affermano, ma vanno ripensati alla luce di come ci sostengono nel corso dell’ascolto nella relazione analitica.

Ci sembra, quello di Fraire, un lavoro che investe gli analisti della responsabilità di continuare a pensare e ripensare la teoria a partire da una consapevolezza ed una esperienza di sé come individui, ma anche da una lettura critica degli aspetti filosofici e sociali di cui siamo portatori.

Conclude la mattinata l’intervento di Anna Maria Nicolò dal titolo “Gli enigmi dell’identità di genere e il transgender”.

L’aumento esponenziale dei casi di atipia di genere sta delineandosi quasi come una sorta di “transgender emergence” che ha scatenato un imponente dibattito culturale e politico. L’accoglimento in molte nazioni della richiesta di non sottoporre a valutazione psicologica le persone che richiedano di cambiare nome o genere e la possibilità di utilizzare bloccanti ormonali prima della pubertà rischia di travolgere l’impegno scientifico e clinico del terapeuta che deve alleviarne la sofferenza. Tali persone non si riconoscono nel proprio corpo sessuato, odiano e sentono estranei i propri genitali o l’insieme delle caratteristiche legate al genere con cui sono apparentemente nate e cresciute. Date queste premesse risulta importante per il clinico districarsi tra i vari fenomeni ed essere in grado di distinguere tra chi esprime una variante normale dell’espressione di genere e chi, attraverso tali manifestazioni, propone una soluzione compensativa di un possibile crollo o di un problema psicologico. Se da una parte è raccomandabile non colludere con la fantasia inconscia del paziente e con il diniego del proprio sesso, è parimenti fondamentale non patologizzare questa condizione definendola una negazione del corpo.

Sottolineiamo come Nicolò intenda la diagnosi non come una etichetta, bensì come il processo di διά-γιγνώσκειν, conoscere attraverso. Nel corso del suo lavoro propone alcune concettualizzazioni del pensiero analitico evidenziandone la loro fragilità, ovvero l’identità, l’identificazione, le teorie intorno alla sessualità, al genere, alla costellazione edipica e all’angoscia di castrazione.

Il corpo è lo “zoccolo duro” della realtà, misconoscerlo equivale al misconoscimento della prima e più fondante realtà che ci caratterizza. D’altronde il corpo è soggetto di sé ma anche oggetto dell’altro (Merleau-Ponty, 1945) e l’immagine del corpo che viene dallo sguardo dell’altro e di se stessi su di sé entra nella costituzione di questo specifico oggetto interno (E. Laufer, 2002).

Ipotizzando quali possano essere le cause di questa disforia l’autrice riporta che esiste un’origine biologica che si articola con una determinante ambientale. Saketopoulou di contro ritiene che, da analisti, non dobbiamo interrogarci su quali siano le cause, bensì su come ciò sia avvenuto: se dunque il paziente ha trovato una soluzione adattiva alla propria vita, è nostro compito sostenerlo. La posizione di Nicolò nel merito però è diversa: ritiene infatti che sia fondamentale fare una valutazione attenta e capace di distinguere le differenti forme del fenomeno transgender e individuare quelle situazioni in cui il problema dell’identità di genere è la via attraverso la quale si manifesta un conflitto psichico.

Prosegue il lavoro offrendoci alcuni riferimenti teorici.

Secondo Freud l’identità di genere è l’esito di un complesso processo di costituzione; Stoller conferisce al sesso una connotazione biologica mentre al genere una prevalentemente psicologica e culturale; gli psicoanalisti americani, legati al movimento femminista, affermano che l‘identità di genere è il prodotto quasi esclusivo di una costruzione culturale e Laplanche, dal canto suo, sottolinea come il genere venga assegnato ed imposto dai genitori sin dalla nascita, dalle loro aspettative implicite ed esplicite. Per l’autore francese quello che sta accadendo è una rimessa in discussione del complesso edipico, dell’angoscia di castrazione e dell’antitesi rigida da esso derivante delle contrapposizioni binarie. È la strenua difesa dell’Edipo a immobilizzare l’identità in dicotomie artificiali lontane dalle realtà, una identità che è invece flessibile, mobile e articolata in forme transitorie.

Sulla scia di Laplanche si colloca anche J. Benjamin che sostiene che lo sviluppo post edipico del genere non sia dicotomizzato ma che resti invece transitorio ed ambiguo. Secondo G. Levy l’orientamento sessuale, connesso con l’identità di genere, può cambiare e si modifica progressivamente nel corso della vita, per quanto esista un nucleo originario, ne siamo co-costruttori. Vengono poi riconosciute le influenze culturali che pesano su questo processo.

La psicoanalisi deve dunque urgentemente ripensare le ipotesi alla base della costituzione dell’identità di genere e della femminilità a partire dalle intuizioni di alcuni psicoanalisti che hanno ad esempio riconnesso la paura della castrazione piuttosto che alla perdita del pene, alla invidia del seno della madre, simbolo del suo potere sul bambino e oggetto di invidia per ambedue i sessi, come ha teorizzato E. Laufer. È altresì importante distinguere essere donna o uomo dalle caratteristiche “femminile” o “maschile”. Fu per altro già Winnicott ad attribuire il femminile all’essere ed il maschile al fare.

Nicolò conclude il suo intervento evidenziando che la politicizzazione attuale dei temi cui la giornata si è dedicata si insinua nel rapporto con i nostri pazienti rischiando di renderci ciechi di fronte al loro bisogno e impedendoci di osservare la realtà, quello che ci sembra essere un invito a mantenere un assetto aperto, riflessivo ma anche neutro.

La mattinata si conclude dopo un partecipato dibattito, occasione per relatori e relatrici per specificare alcune delle tematiche proposte. Ciò che sembra emergere, al di là dei singoli interventi, che in taluni casi sono volti a richiedere delle specificazioni in merito alle relazioni, in altri aprire ad ulteriori approfondimenti teorici, è il bisogno di ripensare la posizione della psicoanalisi rispetto ai concetti di genere, identità, orientamento sessuale e sentimento di sé, alla luce anche della cultura e della società contemporanea. Questo riposizionamento avrebbe l’obiettivo di tendere alla realizzazione del processo di soggettivazione di ogni singolo individuo, non cercando un inquadramento tout-court, ma cogliendo lo spettro delle molteplici varietà individuali.

Il pomeriggio si apre con una breve introduzione di Laura Porzio Giusto, chair della seconda parte della giornata, la quale mette in risalto l’importanza di porsi in ascolto delle persone che vivono un’incongruenza di genere (e più ampiamente delle persone con un’identità sessuale non etero cis), nel tentativo di accogliere i molteplici interrogativi che inevitabilmente sorgono di fronte alla complessità che questi percorsi ed esperienze prevedono.

Porzio Giusto sottolinea la necessità di interrogarsi su quali siano i nostri assetti interni, le nostre teorie, i nostri consci o inconsci desideri, timori e pregiudizi, e quale sia dunque la qualità dello sguardo che poniamo sulle persone di cui, in questa giornata, ci stiamo occupando. Auspica infine, che che “in transito” non siano solo sessualità e generi ma che lo siano anche i nostri pensieri, le nostre teorie, i nostri sguardi affinché possiamo porci in un assetto di ascolto rispettoso, che ci consenta di comprendere l’esperienza della persona e promuovere una relazione di aiuto.

Il primo intervento del pomeriggio dal titolo “L’anatomia (non) è (più) il destino, and sex is a spectrum. OEDIP*? La psicoanalisi di fronte alla scomposizione di generi, identità e desideri sessuali” è di Amedeo Falci, il quale fa partire la sua disamina da una considerazione, ovvero che la biologia non sia più la roccia su cui si poggia la psicologia, in particolare quando si parla di psicosessualità. A tal proposito riporta le posizioni espresse su questo tema, in prima battuta dall’IPA (International Psychoanalytic Association) che nel 2019 mette in risalto come la base concettuale su cui finora si è poggiata la psicosessualità forse è inadeguata a comprendere la crescente domanda della riqualificazione della sessualità umana. In seconda analisi, riporta che anche l’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) sostiene che la salute sessuale sia un diritto e che questa non può essere più regolata e pensata in termini di conformismo normativo. In ultimo cita la WAS (World Association for Sexual Healt), che ha stilato un decalogo dei diritti sessuali.

A partire da questa introduzione, Falci sottolinea come la sessualità sia un tema di grande pregnanza “politica”, e che la percezione e la pratica della sessualità sia profondamente cambiata. Propone quindi, una mappa concettuale di quella che può essere una ricerca sulla sessualità in psicoanalisi, al cui centro pone il self, affiancato da numerosi altri elementi che entrano a far parte di questo tema, la cui comprensione è possibile solo se teniamo conto di due aspetti: multifattorialità e complessità.

Il modello della complessità, racchiuso nell’espressione “due è facile, tre è complessità” (Neil Johnson, 2009) sostiene che la logica della natura e la logica del pensiero, del linguaggio e delle culture attraverso le organizzazioni sociali umane, si sono strettamente intrecciate, e lo hanno fatto ancora di più nell’organizzazione del sesso e della sessualità. Poiché le espressioni della sessualità sono generate da vari sistemi, bisogna accettare il concorso di più scienze per lo studio della stessa, rinunciando alla semplificazione e abbandonando l’adozione di un pensiero lineare.

Potendo prendere in esame la questione transgender attraverso le lenti appena proposte, bisogna considerare che nessuna persona trans* è così per ragioni puramente biologiche o traumatiche. Quando si parla di transessualismo, si tende ad illustrare le due categorie MtF ed FtM: ognuna di queste però si può caratterizzare in quattro modi diversi (precoci, tardivi, androfili, ginefili), andando ad arricchire il panorama dei quadri legati alla disforia di genere.

Falci cita il gender affermative model proposto dalla psicoanalista americana Diane Erhensaft la quale evidenzia che le variazioni legate al genere non siano di per sé disordini e che la comprensione del genere debba tener conto del suo intricato intreccio con la biologia, lo sviluppo e la socializzazione, il contesto e la cultura di riferimento, tutti elementi che inevitabilmente agiscono una pressione sul self del soggetto.

Riprendendo i gender studies, sottolinea che il genere non è binario e precisa la differenza tra identità di genere e orientamento sessuale: queste due dimensioni, spesso confuse, pur incrociandosi, non sono sovrapponibili.

In conclusione, e di fronte alla complessità della tematica in esame, Falci propone di potersi collocare in una psicoanalisi che non si ponga l’obiettivo di cambiare le persone con disforia di genere, ma che le possa aiutare nell’accettazione di un genere difforme da quello a cui sono state assegnate alla nascita.

Amalia Giuffrida presenta un lavoro dal titolo “I dilemmi di un’analista”, ponendo sin da subito un focus sull’importanza del lavoro dell’analista sui moti di controtransfert che si attuano nella clinica.

A partire dalla propria esperienza di psicoterapie individuali e di gruppo, svolte nel Carcere di Rebibbia con persone transessuali, propone un arricchimento delle proprie riflessioni di allora alla luce delle nuove configurazioni identitarie che si stanno presentendo nella nostra società. Giuffrida ipotizza che l’attualizzazione della perversione polimorfa infantile slegata nella fantasia di possedere gli attributi sia maschili che femminili, ponga il soggetto in uno stato autarchico e di perfezione. Nella storia di vita delle persone da lei osservate, ha riscontrato la presenza di madri vissute come vittime di uomini violenti e sadici; tale configurazione sembra aver promosso nel figlio un’identificazione adesiva alla madre, permettendogli di divenire “uno strumento riparativo dell’oggetto infantile.

Giuffrida sostiene che la ricerca in psicoanalisi si debba muovere sempre attraverso cinque concetti metapsicologici, ovvero:

  1. la pregnanza fantasmatica originaria, nella formazione della percezione e della rappresentazione del mondo interno-esterno,
  2. l’esistenza della vita pulsionale che contempla fonti, processi, mete parziali e totali.
  3. la dicotomia sessuale-sessualità infantile;
  4. la bisessualità psichica, ossia la disposizione sia maschile che femminile costituzionale di ogni essere umano;
  5. il conflitto come propulsore insopprimibile della vita psichica.

Essendo tali concetti fondamentali a prescindere dalla specificità della psicopatologia, a suo avviso non è necessario modificare la tecnica psicoanalitica di fronte a nuovi scenari clinici. Piuttosto l’importanza va posta sul controtransfert dell’analista poiché in queste analisi viene fortemente sollecitato il sessuale dell’analista.

Il discorso di Giuffrida è orientato a ridare centralità al sessuale, elemento irriducibile e refrattario a qualsiasi evoluzione, che sovverte l’autoconservativo e che si situa oltre il principio di piacere.

La relatrice, attraverso alcuni casi clinici, mostra anche gli smarrimenti e i momenti in cui l’analista è chiamato ad abbandonare temporaneamente i propri riferimenti teorici e a lasciarsi attraversare dal dubbio, evitando premature saturazioni. Occorre dunque rimanere vivi e pensanti per poter promuovere trasformazioni omeopatiche delle dinamiche interne dei pazienti.

Di fronte alle nuove configurazioni della sessualità, compito della psicoanalisi da una parte è non lasciarsi assorbire dalle ideologie che possono incatenarne il pensiero, e dall’altra non rinunciare al dialogo con i fenomeni emergenti nella società contemporanea. 

L’ultimo lavoro della giornata dal titolo Nominarsi: dal proprio al comune. Per una epistemologia moltiplicata” è presentato da un gruppo di candidati SPI: Nicola Carone, Valeria Condino, Alexandro Fortunato e Leonardo Spanò.

In prima battuta il lavoro ripercorre storicamente i passaggi a cui si è giunti oggi rispetto alla concezione del genere e delle sue varianti: da un modello monosessuale, in cui la donna era vista come mancanza rispetto alla pienezza dell’uomo alla rivoluzione psicoanalitica freudiana che ha valorizzato la diversità tra i sessi sino ad approdare al modello del binarismo sessuale. Il riconoscimento della differenza uomo-donna, all’interno di un cambiamento culturale e linguistico, ha permesso progressivamente alle donne di definirsi e autodeterminarsi, legittimando e rinforzando le caratteristiche del genere femminile, da non percepire più come subalterne all’universo maschile. Questo processo arriva fino ad oggi in cui si presenta una prospettiva più ampia che, tenendo insieme le molteplici differenze sessuali, dà loro un nome e così facendo fugge da un appiattimento delle numerose espressioni della sessualità. Se da un lato questa pluralità ha indubbiamente creato incertezze, così come una proliferazione di nuove definizioni in continuo divenire, al contempo, tenendo lontana una semplificazione propria del pensiero binario, ha promosso una maggiore comprensione della varietà della esperienza umana, offrendo e nominando ogni singola espressione dei tanti fattori che determinano la sessualità di un individuo.

Attraverso le parole della sociolinguista Vera Gheno, viene posta in risalto la centralità dell’autorappresentazione linguistica, ovvero l’importanza del potersi nominare e dell’essere nominati. “Chi viene nominato ha più concretezza, esiste per sé e per gli altri”, al contrario chi non ha un nome incorre più facilmente nell’essere dimenticato e/o violato. La nominazione, quindi, può essere intesa come “la sorella del riconoscimento e della soggettivazione” intendendo con questa sia la possibilità di soggettualizzare che di divenire soggetto. In questa prospettiva non si può rimanere sorpresi di fronte alla proliferazione delle definizioni che riguardano l’identità di genere, fenomeno che va a scardinare con forza la riduttività della logica binaria.

La parola quindi porta con sé significati profondi, dà voce e visibilità alla pluralità dell’esistere: diversamente, la tendenza ad uniformare o ad inglobare, legittima un clima di rifiuto e paura che si esprime in atti di denigrazione e violenza, quali quelli denunciati ormai da troppo tempo dalla comunità LGBTQI+.

Infine, viene discusso il ruolo che la psicoanalisi riveste nel dibattito in merito a questi temi.

Se la letteratura psicoanalitica sulle sessualità non etero e sulle identità di genere non cis ha sempre posto la questione dal lato del paziente (con il rischio di ripetizioni traumatiche e di connotazioni patologizzanti), secondo Carone, Condino, Fortunato e Spanò occorre “invertire la questione” dando centralità al controtransfert dell’analista. La psicoanalisi ha prodotto un pensiero rivoluzionario in merito alla sessualità e ora si trova a confrontarsi con una nuova sfida, ovvero il pensare al queer come ad un oggetto non ancora identificato, non sufficientemente rappresentato dalla teoria finora presente, un inedito da cui far nascere una nuova riflessione. Questo può avvenire grazie alla posizione aperta e germinativa che da sempre caratterizza il pensiero psicoanalitico.

Queste riflessioni e prospettive troveranno spazio più ampio in un volume monografico dal titolo Different thoughts: riflessioni su sessualità e genere che verrà pubblicato sul sito del Centro Psicoanalitico di Roma all’inizio del 2023. 

Anche nel pomeriggio viene dedicato uno spazio alla discussione con la platea, durante il quale si sottolinea il pensiero di due analiste che si sono occupate a fondo di identità di genere e delle sue varianti. La prima è Avgi Saketopoulou la quale afferma che le esperienze traumatiche delle persone trans* sono legate al non essere state riconosciute nella propria identità di genere dagli oggetti primari; secondo l’autrice inoltre, operazioni chirurgiche e trattamenti ormonali non sarebbero acting out di fantasie inconsce, ma possono garantire alle persone trans* “una materialità corporea allineata con la propria esperienza psicologica”. La seconda è Alessandra Lemma che parla del bisogno delle persone trans* di essere viste dall’analista non come perverse bensì come incongruenti.

Inoltre, emerge la centralità della questione linguistica e del nominarsi, così come l’importanza del potersi narrare e dell’essere nominati.

In ultimo, il focus di approfondimento sul controtransfert, segnalato nelle ultime relazioni, trova una grande risonanza nel momento in cui si ipotizza che il genere dell’analista, così come le dimensioni legate all’orientamento sessuale e all’identità di genere, possano essere determinanti nell’ascolto analitico.

 

 



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