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"Alta marea bassa marea" di J.B. Pontalis. Recensione di Leonardo Spanò

Pontalis ci porta nel paese delle afflizioni e dei piaceri umani, degli appuntamenti mancati e dei misteri...


"Alta marea bassa marea" di J.B. Pontalis. Recensione di Leonardo Spanò

Cy Twombly, Untitled (Formia), 1981/1991

 



 

Scolpire il mare …
Le sue musiche …
                           Lunghe,
le mobili sue cordigliere
crestate di neve …

                           Scolpire
– bluastre – le schegge
delle sue ire …
                           I frantumi
– contro murate o scogliere –
delle sue euforie …
                           Filarne
il vento in làmine
semiviperine …
                           In taglienti
nastri d’alghe …
                           Fissarne
– sotto le trasparenti
batterie del cielo – le bianche
catastrofi …
                           Lignificare
le esterrefatte allegrie
di chi vi si tuffa …
                           Scolpire
il mare fino a farne il volto
del dileguante …
                          Dire
(in calmerìa o in fortunale)
l’indicibile usando
il mare come materiale …
Il mare come costruzione …
Il mare come invenzione…

Giorgio Caproni, da Il conte di Kevenüller

 

 

A dieci anni dalla sua scomparsa - moriva infatti a Parigi all’età di ottantanove anni nel gennaio del 2013 - è operazione lodevole da parte dell’editore Alpes e dei curatori quella di proporre la traduzione di “Marée basse marée haute”, l’ultimo libro di J.B. Pontalis.
Prima della sua morte, lo psicoanalista e scrittore aveva terminato una raccolta di racconti, “Marée basse marée haute” appunto (titolo inopinatamente sovvertito nella traduzione italiana), nella quale esplora con pacata serenità i misteri della vita e le contraddizioni dell'animo umano. 
J.B. Pontalis era uno psicoanalista ma era anche uno scrittore (la rilevanza della sua opera non dichiaratamente psicoanalitica è stata ampiamente riconosciuta) e come argutamente ha notato Jacques André: tutti gli scritti di J.B. Pontalis sono  “parole di uno psicoanalista e di uno scrittore”, come se l’unico scioglimento di questa apparente contraddizione si risolvesse poi nella scrittura stessa (qualunque forma o genere assumesse).
 In questa serie di brevi testi, scritti sulla soglia della morte, ci accompagna in una tranquilla passeggiata nel paese delle afflizioni e dei piaceri umani, degli appuntamenti mancati, dei misteri, degli incidenti, degli sfoghi, dei depistaggi, degli amori appassionati. Insomma, di tutto ciò che rende la vita un'avventura sempre rinnovata. 
Lungo questo percorso incontriamo una galleria di personaggi: Simon ed Eva non riescono più ad amarsi dopo la morte del loro bambino appena nato. Aline, una donna anziana, non sopporta di invecchiare e preferisce scegliere il momento della sua morte. Charles Vignon soffre di incapacità di sognare: sovraccarica le sue giornate per superare la paura del vuoto, ma le sue notti sono tormentate e insonni. Albin lascia Emma, anche se è il suo “porto”, preferendo una relazione instabile, poi trova la serenità diventando visitatore di una prigione: “L'uomo che non poteva stare fermo era affascinato da coloro che, per forza, erano condannati a stare fermi”. Raphaël dipende “da una donna che porta dentro di sé l'incertezza, e non è una cosa facile da vivere”. Arnaud Leblanc, giovane e meticoloso psicoanalista, non può fare a meno di paragonarsi agli altri, sempre a suo discapito. Incontriamo anche il cane Oreste, una figura centrale nella vita di Pontalis.
Lo psicoanalista racconta le storie con uno stile piano, senza mai dare un giudizio o fissare un'interpretazione. Questi ultimi racconti di Pontalis, infatti, parlano della vita, della vita che va, che rifluisce, e della sensazione di appagamento che deriva da questo movimento, come il flusso e riflusso caro a Rousseau. La collezione si conclude con “Maree”, un fenomeno che Pontalis considera necessario, “a immagine della mia vita, di tutta la vita forse”, dice. Attraverso questa galleria di ritratti - in cui si insinua anche qualche confidenza - è soprattutto di se stesso che Pontalis ci parla, con la serenità di un uomo che ha vissuto a lungo e ascoltato molto, ma anche con la passione di chi è felice di “conoscere i piccoli piaceri offerti dalla bassa marea per poi sperimentare qualche ora dopo i piaceri enormi offerti dall'alta marea”. Eccolo tuffarsi nelle onde e lasciarsi trasportare da esse. “Sono completamente nel presente. Sono senza età”.
Come risposta all’inevitabile e costante realtà declinante della vita, l’invito a godere il tempo che fugge, nella prosa di Pontalis, si dispone all’interferenza consapevole/inconsapevole di quell’operazione intellettuale che esprime l’ossessione, l’allucinazione, l’incubo, accanto alla logica. In una situazione, di linguaggio e di atmosfera, che evita sempre gli eccessi e si ammortizza in una piana elegia sottilmente ironica. La deriva in Pontalis ha il moto lieve e appena increspato di un’oscillazione tenera, con la dolcezza sia pure angosciosa e angosciante di una memoria ostinatamente ritornante. Per ciò che si materializza come assillo e monito nella considerazione tutt’altro che rassicurante che rubiamo al poeta Tiziano Rossi: “spediremo cartoline da un luogo straniero”. Il senso tragico della vita assume i tratti del bilancio consapevole. Ma il contrappeso di una forza vitale che rifluisce dalla più intima radice di sé viene, come un’onda di riporto, a risollevare la chiglia che il peso della ragione porta a fondo. La composizione delle due direttrici opposte privilegia una dimensione obliqua, che predilige le situazioni chiaroscurate allusive dell’indecifrabilità assoluta della vita. 
Questo libro, come tutte le sue opere precedenti, potrebbe essere descritto affidandosi alla categoria dell’incompiuto (inachèvement), ma Pontalis non ha mai amato questo termine perché, diceva, chiude ciò che vuole mantenere aperto. Il suo lavoro, infatti, pur non essendo unitario non manca di unità. “Tutto il lavoro è incompiuto", affermava, insistendo sulla nozione di movimento che mira a rispondere all'immobilità della morte. Per Pontalis, come sappiamo, non esiste un "Processo" quanto un "Attraversamento”. La questione della malinconia difatti attraversa il libro ubiquitariamente eppure, viene fatto di domandarsi, si tratta di malinconia o piuttosto di nostalgia?
I sogni occupano un posto importante negli scritti di Pontalis e leggendo quest’ultima opera, potremmo essere tentati dall’evocare “il pensiero sognante”, o un pensiero “vicino al sogno”, ma qui, se mai fosse, non è mai un modello, al massimo una fonte tra le altre. Una fonte che spera possa ampliare la portata delle nostre percezioni e rendere i nostri “pensieri del giorno più avventurosi”. I sogni sono estremamente intelligenti e ci rendono visionari, per questo Pontalis li ha amati tanto: “Il sogno è un pensiero che non sa di pensare”. 
In questo suo ultimo lascito siamo come sollecitati a ricapitolare alcune questioni fondamentali che hanno animato il suo lavoro: l’entre-deux, il pensiero come scarto (écart), come tensione sempre mantenuta in cui l’inconscio è invitato ha lasciare il segno, sfiducia nei confronti di concetti o teorie, insistenza sul movimento, rifiuto di qualsiasi sottomissione a un maestro o a un'istituzione (“essere sottomesso all'inconscio mi basta”, affermava con non poca ironia). 
Pontalis ha sempre dichiarato di “sognare” un'alleanza tra il sensibile e l'intelligibile, e l'intreccio tra sensorialità e vita della mente; questo ultimo libro-sogno sembra rappresentarne un felice approdo. 



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