Avant-coup e Après-coup

Report della serata di mercoledì 24 settembre “Associazione libera, attenzione fluttuante e glossa dell’analista”. Relatore della serata è Cristiano Rocchi in dialogo con Lucio Russo.

di Benedetta Bigelli e Emiliano Alberigi Quaranta


Report della serata di mercoledì 24 settembre “Associazione libera, attenzione fluttuante e glossa dell’analista”. Relatore della serata è Cristiano Rocchi in dialogo con Lucio Russo.

A partire dall’articolo "La mancanza della glossa – Appunti sulla supervisione a partire da alcune considerazioni di D.P. Spence" (Rivista di Psicoanalisi 3/24) Cristiano Rocchi introduce il concetto di glossa, un commento interpretativo, una nota che spiega e circostanzia il materiale del resoconto clinico in supervisione e che permette di porre l’attenzione sul non verbale e sul paraverbale del paziente, ma anche su ciò che passa per la mente dell’analista, nella parte cosciente del suo controtransfert (il riferimento, qui, è a Ferenczi). La glossa è utilizzata a corredo del resoconto clinico per decostruire la narrazione. Glossa e resoconto clinico sono messi a paragone con i concetti letterari del formalismo russo di Sjuzet e Fabula per indicare rispettivamente la modalità di esposizione degli eventi da parte del narratore e la sequenza di eventi vissuti.

Il discorso si sposta sui concetti di “associazione libera” e “attenzione, cosiddetta, liberamente fluttuante” e su una loro ridefinizione. Per far questo il relatore chiede alla platea di assumere una posizione non pregiudiziale, quasi un ascolto analitico.

L’associazione libera è la regola fondamentale all’interno del metodo analitico, il suo strumento osservativo fondamentale. La sua osservazione, però, non può essere oggettiva, libera, ma condizionata dal contesto. La stessa traduzione italiana sembra tradirne il senso originario tedesco. Freud usa una locuzione che in italiano viene tradotta “passare di palo in frasca”, quando la traduzione letterale significa “passare dal centesimo al millesimo”, rimandando a una dispersione/frantumazione delle idee.

Inoltre, anche la celeberrima metafora del viaggiatore in treno proposta da Freud sembra rimandare a “un’idea ingenua” che non tiene conto del ruolo del viaggiatore stesso e di dove possa appoggiare il suo sguardo: c’è un Io, attivo, che interviene su ciò che viene visto.

Anche Fachinelli nel suo libro “Claustrofilia” propone una modifica nella traduzione di “associazione libera” che rimanda al concetto di “idee improvvise”, che creano di qualcosa di nuovo. Allora l’associazione libera non può essere veramente libera, ma sempre subordinata a un determinismo psichico.

Se l’associazione libera rimanda al paziente, l’ascolto cosiddetto liberamente fluttuante è di pertinenza dell’analista. Anche in questo caso la traduzione italiana sembra perdere alcune indicazioni importanti, per questo Cristiano Rocchi propone di definirla “attenzione uniformemente sospesa”, non libera, ma sottesa e condizionata dalla modalità di ascolto dell’analista.

La tesi approfondita nell’intervento, quindi, rimanda all’idea che l’associazione libera sia uno strumento utile per favorire processi di pensiero in seduta, ma che non funzioni allo scopo che si era prefissa, giungere all’inconscio rimosso, mentre l’attenzione fluttuante, per quanto l’analista si sforzi di metterla in atto, è condizionata dal contesto dell’ascolto e da altri fattori aspecifici.

Lucio Russo, come premessa al suo intervento, ricorda quanto la diversità nel pensiero analitico sia fonte di arricchimento e, a partire da questo, definisce ciò che è il metodo analitico: ascolto e parola, cura ascoltata e cura parlata all’interno di una relazione (analitica).

L’analista in ascolto, nella stanza d’analisi, deve essere in grado di scomparire, di assentarsi e creare l’assenza, “ignotizzare il noto”. E per fare questo deve essere in grado di mettere da parte la teoria e di aprirsi all’esperienza clinica.

E all’interno di questa esperienza il paziente legge il suo testo: la libera associazione deve, quindi, necessariamente essere calata all’interno della stanza d’analisi. Diventa una regola chiusa e privata nella stanza d’analisi in cui il paziente può sentirsi libero di dire e non dire. E l’analista scompare.

Allora “l’associazione libera” come liberazione dal potere della censura del mondo reale e “l’ascolto liberamente fluttuante” come possibilità dell’analista di mettere tra parentesi la realtà. Tutto si gioca all’interno della relazione analitica: si tratta di favorire l’emergere delle parole in giacenza (Fedida), di liberare le parole dall’egemonia di senso e dall’obbligo di significato.

Nel dibattito a seguire sono emerse diverse posizioni e suggestioni. Maurizio Balsamo ricorda quanto il dibattito sulla traduzione in psicoanalisi sia ancora aperto e cita Laplanche. Inoltre, propone una riflessione sul tema lacaniano della tuke, ciò che cade/accade nella stanza d’analisi: si colloca dunque più vicino alla posizione di Russo, preferendo apertura all’imprevisto piuttosto che ascolto troppo intensivo dell’analista. Conclude invitando a uno spostamento della prospettiva analitica attraverso ad esempio l’“ascolto dell’ascolto” (Faimberg).

Fabio Castriota parla dell’Humanitas, concetto latino utilizzato per indicare ciò che contraddistingue l’uomo dagli altri esseri viventi: Humanitas come capacità (innata o acquisita?) di essere in contatto con gli altri uomini attraverso la capacità di “costruire ponti”. Propone una lettura della metafora freudiana del viaggiatore come di qualcuno che modifica il suo guardare durante il viaggio, dal concentrarsi sul panorama inizialmente al vedere altro. Cita Ogden e il terzo analitico. 

Domenico Chianese si collega al concetto di Humanitas e parla dell’importanza di Eros nella relazione analitica, necessario ad equilibrare le spinte di Thanatos. Cita Green quando afferma che “paziente e analista fanno l’amore con le parole; a volte nasce un bambino, a volte questo bambino, tra una seduta e l’altra muore, a volte sopravvive” e Pontalis sull’importanza del sentimento del voler bene ai propri pazienti.

Il dibattito mette in luce “questioni aperte” per la comunità psicoanalitica: come conciliare rigore e apertura; come evitare che teoria e potere ingabbino la libertà del paziente; come mantenere creatività, Humanitas ed Eros nel training e nella supervisione. In questo senso la discussione ha mostrato un campo vitale, attraversato da tensioni ma anche da un comune desiderio di ripensare il metodo psicoanalitico a partire dall’esperienza clinica. (Benedetta Bigelli)

 



Conclusione a mo’ di glossa 

Ci sono idee che conducono una doppia vita. Una si svolge nel mondo degli scrittori, letterati e artisti in genere. L’altra in quello degli psicoanalisti.

L’associazione libera è una di queste. La glossa, probabilmente, ne è un altro esempio.

Sappiamo da Didier Anzieu che Freud conosceva bene uno scrittore (Ludwig Borne, “suo primo autore preferito”) di inizio 800 che pubblicò un manuale di scrittura creativa dove descriveva il ricorso al metodo della libera associazione al fine di inventare, creare e produrre nuove idee su cui basare storie e romanzi (L’arte di diventare uno scrittore originale in tre giorni). Dai miei ricordi degli studi universitari emerge una distinzione che raramente ho re-incontrato tra associazione libera freudiana e junghiana esposta nel libro di Ellenberger (La scoperta dell’inconscio): la prima si basa sull’idea di percorrere una concatenazione di idee che attraverso, e nonostante, le sue ramificazioni e moltiplicazioni del palo in frasca (o meglio, del “salto dal cento al mille”) permette in qualche modo il reperire di una direzione data dalla pulsione o dalla intenzionalità biologica che vi è al fondo (Pulsioni e loro destini). Alla base di questo metodo vi è la convinzione che vi sia un codice da decifrare e si potrebbe chiamare associazione libera ricostruttiva. La seconda, che fonda il metodo junghiano, è detta “evocativa” e punta a stimolare la produzione di nuove idee. Non è il “cosa le ricorda o a cosa la rimanda” lo stimolo da cui associare, ma: “cosa le suscita, le evoca, le fa immaginare o inventare”.

Ad esempio, applicando l’associazione evocativa alla metafora del passeggero del treno che usa Freud per illustrare l’associazione libera, è possibile trovare delle aperture di senso che lo stesso Freud non poteva prevedere. Rocchi usa questa metafora per sottolineare che, dal momento che “paesaggio” è più correttamente traducibile con “veduta”, sono gli occhi del passeggero che si indirizzano su un elemento piuttosto che un altro e che, tra questi, vi possono essere anche gli altri passeggeri seduti nello scompartimento (ovvero l’analista in ascolto e, si potrebbe aggiungere, il supervisore che in qualche modo è presente in latenza nell’ascolto dell’analista). Dal momento che Rocchi introduce in questa immagine la considerazione di un movimento (quello degli occhi, ovvero dell’attenzione) si potrebbe proseguire chiedendosi se ci sono altri movimenti nella scena. C’è il movimento del treno, è il movimento che permette lo scorrere del paesaggio, ma questo è un movimento che trasporta tutti i passeggeri dello scompartimento e possiamo dunque concludere che lo scorrere del paesaggio è il flusso delle coscienze di tutti i passeggeri del treno di cui l’analizzato è un osservatore privilegiato.

Non so quanto questa distinzione tra associazione ricostruttiva ed evocativa abbia ancora senso oggi, ma di sicuro ci informa che nell’associare ci possono essere tanti modi e che forse ciò che interessa è cosa vi è la base, lo scopo, l’intenzione e il modo di associare oltre al contenuto dell’associazione in sé.

Un ulteriore esempio che mette in campo l’oggetto: ciò a cui si rivolge l’associare del paziente lo troviamo in un bellissimo articolo di Roussillon (“La conversazione psicoanalitica”), dove abbiamo modo di notare che attraverso l’ascolto del modo di associare del paziente si delinea l’oggetto interno o la sua assenza. Chi è stato l’interlocutore di quel bambino lì quando produceva suoni senza senso? Quale oggetto porta al suo interno a cui rivolge oggi i suoi pensieri in attesa di un senso? A questo può aiutare a rispondere la proposta di Lucio Russo, ripresa da Fedida, delle parole in giacenza. L’oggetto attorno cui ruotano le associazioni delineano una forma che è assente nel discorso esplicito e cosciente del paziente.

Per tornare alla glossa, che Rocchi propone di usare a corredo del resoconto clinico per decostruire la narrazione, può essere posta in relazione anche al concetto che in semiotica -Peirce soprattutto ne parla- e logica va sotto il nome di abduzione, non una deduzione, dalla teoria all’esperienza, ne un’induzione; dall’esperienza alla teoria, ma un processo che va dal caso singolare a un’ipotesi, che costituisce la costruzione/simbolizzazione del caso specifico (C. Buoncristiani – comunicazione personale). Qualcosa, si potrebbe dire, che rimanda all'idea del campo analitico come contesto autointerpretantesi: se il paziente parla di un evento della sua vita sta anche veicolando un'interpretazione sullo stato della relazione tra lui e l'analista.

Anche per la glossa, così come per l’associazione libera, mi è capitato di incorrere in una sua doppia vita condotta nella notte dei testi letterari che mi sono capitati tra le mani in questo periodo: “Bertleby e compagnia” di Enrique Vila-Matas e “Jakob Von Gunten” di Robert Walser. Sappiamo che di esempi ne possono esistere molti altri (Borges, Bobi Blazen, etc).

Nel primo caso, Vila-Matas dedica un libro a tutti gli scrittori che non scrivono. Bartleby, lo scrivano, personaggio letterario creato da Melville, ne diviene l’icona, emblema del negativo attorno a cui si redigono infinite note ed interpretazioni nelle loro possibilità.

Vila-Matas scrive il suo libro nella forma di un diario fatto di sole note a piè di pagina a commento di un testo fantasma: in sostanza un’opera letteraria che presentifica una glossa senza il testo, dove il testo può essere un foglio bianco, lo schermo del sogno, l’allucinazione negativa, il mortifero “preferirei di no” e così via. Glossa come vita che si ramifica attorno al negativo. Tra gli altri, nel suo testo ci narra proprio di Robert Walser, scrittore contemporaneo di Kafka, da lui amato e stimato ma caduto in vita in un oblio immeritato che lo portò alla pazzia. Visse gli ultimi 28 anni in manicomio, scrivendo su piccoli foglietti di carta le sue impressioni fugaci per poi gettarli via: glosse alla sua vita?

Nella postfazione di Calasso allo splendido “Jacob Von Gunten” di R. Walser, scrive qualcosa che sembra descrivere con intensità drammatica l’ascolto analitico (corsivi miei):

“Se intesa fuori da ogni contesto morale, l’abiezione è il piacere sconvolgente di congiungersi col dato, qualunque esso sia; l’abiezione prescinde sempre dal senso e obbedisce solo alla presenza, per garantire la separazione dell’assente; il totale delle azioni possibili viene abbracciato una volta per tutte – e da allora comincia un processo di avvilimento di tutto ciò che possa ricordare la scelta di un io.”

Per poi concludere:

“Per Walser la forma letteraria dell’abietto è la glossa, anch’essa “rappresenta una depravazione”, certamente riprovevole in rapporto alla “moralità letteraria”. La glossa attrae Walser perché “opera in tutte le direzioni”, è definita dalla indifferenza di fronte agli impulsi, vanifica ogni profilo, si germina di continuo, è multipla, erratica.”

Questi incontri letterari problematizzano l’idea della glossa come qualcosa che si sviluppa attorno ad un testo vuoto, un bianco, un ignoto; e che questo sviluppo è prodotto dall’aderenza al dato da un lato e dall’assenza di ogni cognizione di esso dall’altro: questo può condurre alla sparizione del soggetto che parla? O divenire una figura dell’ascolto at-one-ment di Bion: di due menti all’unisono? Sarà la glossa uno strumento in grado di operare per rendere ignoto il noto da un lato e per delineare quell’interlocutore che è rimasto in giacenza tra le parole dell’analizzato, dell’analista e del supervisore? O, all’opposto, divenire uno strumento che conduce alla sparizione del soggetto in analisi attraverso le glosse dell’analista che ascolta?  ( Emiliano Alberigi Quaranta )



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