Appunti a favore di un pensiero audace

Valeria Condino, Leonardo Spanò, Alexandro Fortunato

 

(….) il nostro lavoro

è diventato più importante del nostro silenzio

Audre Lorde, 1978.

                                                                                                                                             

Usato originariamente in senso spregiativo nei confronti degli omosessuali nel corso del 19° sec., queer è termine anglosassone che sta per «strano», «bizzarro», e, a sua volta, deriverebbe dal tedesco quer, «diagonale», «di traverso».

Oggi il queer si trasforma ed evolve nei termini del discorso, perché, come ci ricorda Liana Borghi, non risulta più soltanto un modo abbreviato per riferirsi a teorie afferenti al campo degli studi queer di matrice angloamericana e a pratiche politiche che aprono ad altre soggettività, ma è piuttosto un umbrella term che ci invita a disimparare le pratiche e le teorie dominanti e a intessere nuovi rapporti tra saperi, soggettività, corpi. L’insegnamento freudiano di ripensare l’essere umano in un dialogo tra saperi differenti va attualizzato. Appare oggi importante, forse ancora più di ieri, mettere in tensione la psicoanalisi, con filosofia, antropologia, letteratura, poesia, arte, etc. L’idea che sostiene questa apertura non è certo quella di arrivare a un punto conclusivo, a una sintesi finale ma piuttosto quella di immaginare che nello sforzo tensivo si possa ripensare il discorso stesso della psicoanalisi. D’altra parte, quello cui occorre opporsi è la ripetizione dell’ortodossia: non sbarazzarsi quindi dei padri ma rileggerli in uno sforzo continuo di tensione verso il futuro, evitando la riduzione del soggetto a un oggetto analitico e non fare dell’atto interpretativo una traduzione senza scarti (Fachinelli, 2002).

Ma la psicoanalisi è pronta a lasciarsi turbare da queste relazioni pericolose? E noi, siamo pronti ad abbandonare il territorio sicuro di una certa teorizzazione e pratica analitica e a ritrovarci a questo incrocio senza sentirci esclusi o unici nel nostro genere? Siamo pronti a non arroccarci dentro una certa complessità per difenderci da un possibile smarrimento?

Quinodoz con il suo gruppo di studio (2006) ci affidano una notazione importante: osare essere psicoanalista non richiede alcun gradiente spettacolare di audacia, ma quella che pare un’audacia di tipo più modesto e quotidiano, che potrebbe passare inosservata perché in seguito sembrerà molto naturale. Come possiamo osare entrare, seppure provvisoriamente, in alcuni mondi che ci paiono del tutto folli per poterli meglio comprenderli? Essere psicoanalisti comporta l’audacia di vivere nel cuore stesso di questo paradosso.

Il queer, nella sua accezione più ampia, probabilmente richiama proprio questa audacia: non viene rappresentato come la caratteristica esclusiva di un individuo ma come parte di un assemblaggio che include l’agire collettivo, l’immaginazione e una specie di inclinazione situazionista a sorprendere e scioccare. Queer è altresì una parola che sfugge ai tentativi di definizione, che apre all’impensato, che ci invita a sospettare del progresso lineare nel tempo, che ha relazioni complicate e che ha complicato le relazioni (Borghi, 2021). È importante non tanto perché viene utilizzato come etichetta di un'ulteriore casella identitaria, ma come azione in movimento volta a creare le condizioni di una buona vita oltre l’apparato normalizzatore di genere e sessualità. 

In “The Argonauts”, Maggie Nelson (2015) fa uso del concetto winnicottiano di «deflation without dismissal»: c'è un profondo senso di conforto nello scoprire che i nostri dolori non sono così unici come avremmo potuto pensare, ma affinché quella scoperta sia un'esperienza di guarigione abbiamo bisogno, crediamo, di lasciar andare la nostra paura dell'ordinarietà. La deflazione può essere un sollievo: significa, dopotutto, che i nostri problemi sono quelli che nessuno nella storia dell'umanità sia poi mai riuscito a superare ma con i quali almeno è riuscito a imparare a convivere. Ma anche la questione “without dismissal” è altresì importante: l'ordinarietà della nostra sofferenza non la rende certo poco importante; piuttosto la umanizza, la rende goffa, malcerta ma mai banale, la riconsegna a essere solo parte del tessuto dell'esperienza umana. E questo significa, ovviamente, che anche noi siamo parte di questo tessuto, e non condannati piuttosto a un destino nel quale sia previsto che non potremo mai sperare di risolverla. Non c'è bisogno, quindi, di abbracciare l'idea che non potremmo mai essere compresi come salvaguardia contro il dolore di non riuscire a trovare la comprensione che bramiamo.

Ma cosa accade agli psicoanalisti quando confrontati con questo? Siamo abbastanza sicuri che l’analisi non miri a incasellare gli individui in categorie diagnostiche comode alla società, ma al contrario come psicoanalisti siamo più legati a ricostruire tramite sogni, parole, associazioni, inconsci quali sono le nostre paure più profonde e i nostri desideri più vivi e veri, e a lavorare per individuare le resistenze che ci impediscono di realizzarli. Da questa prospettiva il punto centrale non è tanto la conoscenza acquisita di paziente e analista, quanto la possibilità del paziente di arrivare a capire in modo creativo e con gioia immensa un’esperienza in cui si trova coinvolto nello sperimentare il processo di divenire se stesso (Ogden, 2022). L’analista così pensato non detiene alcuna verità, se non la possibilità di far sorgere qualcosa del soggetto dell’inconscio del paziente.

Siamo consapevoli dei motivi per cui la psicoanalisi sin dalle origini ha suscitato diverse critiche: teorizzando una sessualità perversa e polimorfa, l’importanza del piacere e del desiderio nelle nostre vite e l’inafferrabilità dell’inconscio, è stata per lungo tempo considerata strana e bizzarra, ha suscitato scalpore e rotture, ha provocato scissioni e perplessità, ha lasciato il segno per la radicalità e la rivoluzione del pensiero, lasciandosi guidare da una metodologia e da un pensiero critico. Ciò che ci colpisce ancora di Freud è il suo anticonformismo che coincide con l’etica stessa della psicoanalisi, un’etica che invita a non dare mai nulla per scontato, che invita a lasciarsi interrogare dal sintomo, un’etica che scomoda lo psicoanalista e sorge precisamente da questa posizione costantemente dubitativa.

L'inconscio non è il luogo di una minaccia che deve essere scongiurata, ma è elemento di un'apertura che può diventare occasione di trasformazione del soggetto.

In tal senso appare centrale il posizionamento delle e degli psicoanalisti e del dispositivo analitico tout court rispetto alle nuove acquisizioni che vengono dal mondo del femminismo e dal mondo queer, un’occasione, la nostra, di collocarci al margine, di utilizzare gli strumenti in nostro possesso per tener dentro le incandescenze pulsionali che hanno a che fare con qualcosa di primordiale - per un verso sempre uguali, per un altro sempre nuove - che possano trovare nuove forme e nuove espressioni. L’analisi in questo senso ha a che fare con un processo di soggettivazione che implica assumere l’impossibile.

 

Bibliografia

Borghi, L. (2021). Tessiture. Il pensiero fertile di Liana Borghi. Roma: Fandango Libri

Fachinelli, E. (2022). Esercizi di psicanalisi. Milano: Feltrinelli Editore

Lorde, A. (1978). The black unicorn. W.W. Norton & co

Nelson, M. (2015). Gli Argonauti. Milano: Il Saggiatore

Quinodoz, D., Aubry, C., Bonard, O., Déjusseland, G., Reith, B. (2006). Being a psychoanalyst: an everyday audacity. International Journal Psychoanal. 87(Pt 2), 329-47.

Ogden, T. (2022). Prendere vita nella stanza d’analisi. Milano: Raffaello Cortina Editore

 

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