Cultura, cinema e arte

Sanremo, la nuova fabbrica di meme - di C. Buoncristiani e T. Romani

Un Blanco di governo… e uno d’opposizione


Sanremo, la nuova fabbrica di meme - di C. Buoncristiani e T. Romani

Io sogno una canzone che dica tante cose
un colpo di cannone ma
che spari solo rose

Perché Sanremo è Sanremo – Pippo Caruso

 

Stat rosa pristine nomine. Nomina nuda tenemus

“De contemplo mundi” Bernardo de Cluny

 

I fatti sono noti a tutt*. Blanco non sente “il ritorno” in cuffia della sua voce e dopo averlo più volte segnalato inizia a prendere a calci i fiori sul palco dell’Ariston. Per chi ha visto il video, diventato subito virale, Riccardo, già noto per correre in mutande per i boschi, è palesemente divertito, forse anche un po' in imbarazzo. Non come chi sia in preda a un raptus pantoclastico, piuttosto come qualcuno che abbia ancora il controllo di sé…

Tale performance, con ogni probabilità ampliamente prevista dalla regia, ci parla molto di noi. Il corpo a corpo  del giovane cantante ha decisamente una sua qualità estetica. Blanco avrà improvvisato? Sarà stata tutta una messa in scena? Come un’epidemia si diffondono in rete domande sull’origine dell’Evento e su quale sia l’epistemologia sul quale farlo atterrare.

Ma cominciamo dall’inizio.

Sanremo è Sanremo. Almeno lo si canticchia dal 1995 data di nascita di questo tormentone metafisico. All’epoca esisteva ancora la televisione e Pippo Baudo era affiancato da Anna Falchi ed una splendida Claudia Koll. A rose is a rose is a rose… ripeteva Umberto Eco per risolvere la disputa tra sostanzialisti e nominalisti in un paradosso estetico.

Probabilmente oggi di questa storica kermesse della musica italiana rimane appena la tautologia. L’Uno di Plotino della televisione nazionale, da cui discende l’essere. L’essere, come in modo poetico era solito dire il filosofo di Licopoli, complica tutte le cose. Tutti gli altri esseri della televisione italiana. In tal senso Sanremo è all’inizio e alla fine della TV e in esso non può che risplendere il Vero. E tale è Sanremo, in quanto è Sanremo. Dentro c’è tutto quello che ci deve stare, non manca di nulla e tutti i suoi “modi” sono immanenti alla sostanza Sanremo. Vogliamo dire che tutto ciò che accade su quel palco non può lasciarci indifferenti, ma provoca anzi processualità affettive, contatti, movimenti dell’anima: se ne parla con l’analista.

Ma il punto è che la televisione è ormai al termine della sua gloriosa centralità nella storia del mondo: ha fatto il suo e ha prodotto moltissimo nella storia del costume, dei prodotti culturali e dei mezzi comunicazione. Ormai non più complemento d’arredo nei nostri salotti, non più regina dei pomeriggi dei/lle nostr* figl*, la Televisione con Sanremo si veste di una luce crepuscolare e bellissima. Una luce che non la mette in ombra, ma che la fa diventare già altro: da sempre nei contenuti televisivi e nei palinsesti sono evidenti i centri di potere, i partiti, le istituzioni, le lobbies; ma più il mezzo perde il suo monopolio sull’attenzione pubblica e più emergono vie di fuga, che essa non può non accogliere se vuole stare al passo con i tempi.

A prendere il posto della TV oggi c’è quindi la rete. Internet con i suoi infiniti snodi orizzontali è apparentemente agli antipodi delle logiche monodirezionali e verticistiche del broadcasting televisivo. Se il web e i suoi “flussi” fanno costantemente rizoma, attraversati da forze centrifughe e processi non lineari, è vero però che le derive (apparentemente) più imprevedibili dei social hanno vincoli stringenti e lasciano ben poco all’iniziativa “bottom-up”: tutti i fenomeni virali subito si ricollocano in strutture ben immerse nella dinamica del mercato globale. Al contrario, per paradosso, si potrebbe osservare che con la televisione di questa fase storica si scoprano maggiori margini di imprevedibilità, una vulnerabilità sfavillante.

Ed ecco che il palco dell’Ariston si popola di contraddizioni solo apparenti. Il solito Gianni Morandi e poi Rosa Chemical con i suoi tatuaggi sul viso. Che effetto farà alle nonne? Riuscirà a ottenere l’attenzione di qualche adolescente staccandol* un momento da BeReal?

Perché dall’inizio di questa edizione ciò che è emerso è il venire alla ribalta di ciò che starebbe dietro le quinte, effetti di superficie di ciò che da contratto non starebbe in scena ma è sempre nella logica dell’evento: in una sorta di molteplicità non contraddittoria. Reflects back, per dirla con Winnicott che pensava al ruolo dell’analista nel suo più classico posizionarsi dietro, per obliquo.

Per travestirsi da maledetto, come ha fatto Blanco, serve un minimo di expertise: altrimenti prima sfasci il palco e poi, invece di andartene facendo il dito medio alla platea, chiudendo la performance nell’unico modo possibile per un cattivo ragazzo che arriva dopo i Sex Pistols, ti scusi con Amadeus. Che tutto sommato è un preside indulgente: gongola e ringrazia per l’impennata di follower e per il dibattito che si apre sulle arene telematiche…

E allora Sanremo diviene fabbrica di meme usando le spalle di Chiarona Ferragni nazionale. Lei aveva scritto “Pensati libera” e quella scritta è stata cambiata da tutti e in tutte le salse, diventando un tormentone e uno sberleffo: il “pensati libera” diventa “pensati bianca bocconiana di buona famiglia e con un’oggettiva intuizione ma insomma dai mo’ non esageriamo” (sulla pagina Instagram di “lerecensioninonrichieste”).

Perché per quanto ci si sforzi di intercettare le spinte più trasgressive una cosa è certa. Che su quel palco sfila il privilegio.

Perché Sanremo parte e resta gerarchico, diviso in generazioni, in edizioni, di anno in anno, di padre in figlio. Mentre i suoi tentativi di “svecchiarsi” lo trasformano: la sua ricezione negli altri dispositivi avviene attraverso i meme, che si propagano e si rilanciano come un’epidemia, per contagio. La rete è una frontiera, può essere assoggettata alle tirannie della finanza 2.0, ma resta anarchica. Il contagio mette in gioco termini eterogenei, l’uomo e i virus, l’orchidea e la vespa, i cugini di campagna con Blanco.

Blanco e la sua performance. C’è forse qualcosa che salverà Sanremo dal suo attuale destino, ovvero diventare una fabbrica di meme?

Blanco non si è arrabbiato, non è Will Smith, non ha “sbroccato male” come dicono i/le ragazz*. È tanto meno una protesta. Ma forse, ci piace pensare, qualcosa di più bello, ovvero un gioco inaspettato che ci getta alle prese con l’anomalia.

In uno spettacolo che va alla deriva si sono detti: qui serve l’adolescente. Ogni volta nella vita, quando si va alla deriva, serve l’adolescente. E non è neanche una sorta di anticonformismo, perché lui chiede anche scusa. Ce n’è un poco in ogni cantante se è per questo. Il suo corpo a corpo con i fiori sul palcoscenico è stato piuttosto un fuori scena, un fuori schema, la capacità di deragliare e farne gioco. È assolutamente spassoso vederlo e di certo scuote un po'.

Ma a noi non piace essere scoss*, non tanto quanto invece ci piace essere rassicurat*. E dunque la sera all’Ariston il rapper vincitore della scorsa edizione è stato molto fischiato e nei giorni successivi piuttosto criticato.

Crediamo che invece il punto sia importante e legato a quanto ormai siamo tutt* più o meno incapaci di intravedere qualcosa di nuovo quando ci si presenta.

 

E dunque forse sarebbe bello imparare a pensare il pullulare dell’imprevedibile, come se potessimo ascoltare il Nuovo, che sempre ci disarma. Come se potessimo ascoltare ciò che si stacca dalla superficie degli oggetti e dei corpi per arrivare ai nostri occhi.

Blanco sembra dirci che dare calci e ridere molto significa ricordare a tutt* che “pazziare” (etimologia napoletana) è importante.  E che di certi oggetti non ci si deve porre la questione essere/non-essere, vero/falso. Era fuori di sé, non si è controllato, era vero, era falso? Non c’è bisogno di distinguere tra simulacro da una parte e originale dall’altra.

A molte discipline, psicoanalisi compresa, farebbe bene una metafisica affrancata dalla profondità originaria o dall’essere supremo, capace di pensare il fantasma al di là di ogni modello. Una epistemologia dei giochi e della molteplicità. Dio è morto, Sanremo è Sanremo. E i calci di un ragazzino che ridendo butta in aria rose rosse, scuotendo le nostre impressioni, fanno la loro parte.

Senza nulla rappresentare, danzano corpi.

Ciò che abbiamo lasciato indietro sono le pieghe, le piccole cose, tutto ciò che non va dritto e Blanco, meglio ancora perché involontariamente, ci fa segno su tutto questo.

Almeno finché non torna sul palco Amadeus, con il suo simpaticissimo paternalismo.

Cosa non andava? Ti sei arrabbiato?

Ed ecco che anche a Sanremo torna tutto liscio. Viviamo veramente in tempi difficili.



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