Cultura, cinema e arte

"Un Couple", gli occhi di Sofia Tolstoj e quelle domande sul senso di una vita - di Laura Cavaliere

Nel film di Wiseman le immagini di una natura piena ed esplosiva si alternano all'intensità appassionata dei diari della protagonista


"Un Couple", gli occhi di Sofia Tolstoj e quelle domande sul senso di una vita - di Laura Cavaliere

Il film apre con l’immagine della protagonista, l’attrice francese  Nathalie Boutefeu, nel ruolo di Sofia, moglie di Leo Tolstoj,  che scrive, a lume di candela, in una stanza, di cui si intravedono solo il tavolo, le pareti e le pagine del suo diario. Da questa prima immagine di interno con luce tenue e soffusa, si passa alle riprese all’esterno, dove la natura riempie non solo l’intero scenario ma anche il nostro cuore.

Il paesaggio è quello della Bretagna, più in particolare l’isola di Belle- Lie. Le alte e potenti onde si infrangono sulla roccia e un forte vento percuote alberi e piante. A queste immagini burrascose si alternano momenti di quiete, dove un leggero fruscio del vento smuove il fogliame degli alberi, delle siepi e dei variopinti fiori, con i colori tutti che balzano dallo schermo per la loro luminosità.

È una natura, piena, generosa, che esplode dentro di noi.

Il film è stato girato in agli inizi del 2021,  in soli 26 giorni, in piena pandemia. C’è fame di aria, suoni, percezioni tattili, visive ed olfattive, legate al lungo periodo di astinenza durante il lockdown.

Il regista, Frederick Wiseman, la coglie tutta e la vive insieme a noi.

Nella visione del film si ha quasi la percezione di stare accanto a lui mentre effettua le sue riprese, condividendo così l’ebbrezza di una libertà ritrovata.

Il film “Un couple” è per il regista il primo film fiction.  Lui, che ora ha  92 anni, ha girato solo documentari: documentari dove sono le immagini che parlano e sono loro stesse le principali protagoniste.

Sofia si muove in semplici vestiti dell’epoca, per ricordarci dove si colloca la sua storia.

Il suo é un intenso e articolato monologo, in cui vengono recitati i suoi diari.

Lo sguardo della protagonista è uno sguardo a tratti  rivolto alla cinepresa, a tratti perso nell'immensità della natura che la circonda. La sua è un’intensa e appassionata ricerca di un senso di ciò che vive e che ha vissuto. E’ un dialogo con l’altro, con se stessa e con la natura tutta.

D’altra parte non è lo stesso S. Freud, parlando di Leonardo,: “...quel suo non stancarsi di indicare nello studio della natura la fonte di ogni verità…”.(Freud S., 1910 Un ricordo di infanzia di Leonardo da Vinci, OSF 6)

Sofia è inquieta, ha mille interrogativi, ricordi, considerazioni, va in cerca di risposte e sembrerebbe che queste le cerchi anche nell’immensa vastità ed inesorabilità del perpetuarsi dei cicli della natura.

I diari privati hanno avuto un ruolo importante sia nella sua vita che in quella del marito Leon Tolstoy. Infatti ambedue li curavano con particolare dedizione. 

Anche se abitavamo sotto lo stesso tetto, i diari erano un importante strumento di relazione e comunicazione tra loro.

Veniamo così coinvolti nella loro turbolenta e intensa storia d’amore, durata 37 anni, in cui diedero alla luce 13 figli (ma solo 9 sono sopravvissuti).

La loro lunga storia d’amore, li ha visti coinvolti in accesi e sofferti  conflitti, a volte seguiti anche da brevi ma drammatiche separazioni, alternate a calorosi ed amorevoli riavvicinamenti e a periodi di completo estraniamento, soprattutto da parte di lui.

“Il vero poeta brucia se’ stesso ma brucia anche gli altri”, dice l’autore.

Così lei si domanda  quale sia il senso della sua vita,  una vita vissuta accanto e forse in ombra  a quella di  un grande uomo, un artista, un grande protagonista della storia.

Una vita che sembra trarre linfa vitale solo dalla vicinanza amorevole di lui, dal suo riconoscimento, dalla sua accettazione, per poi improvvisamente precipitare in un sentimento drammaticamente abbandonico che accompagna l’improvvisa lontananza e, a tratti, anche il rifiuto, da parte dello stesso.

In questo tumulto in cui lei si perde e noi insieme a lei, sembra che non ci sia spazio per ritrovare e godere di una propria individualità, al di là dell’altro e anche degli altri. I loro numerosi figli, le tante incombenze legate alla routine quotidiana. Di tutto ciò lei ne ha penosa percezione e si domanda.

I quesiti sono numerosi è drammaticamente senza risposta. Sono quesiti squisitamente femminili, che ci hanno interrogato nel corso della storia e continuano ad interrogarci.

Forse un barlume di risposta la possiamo ritrovare in quella stanza, illuminata da quella luce fioca che apre e chiude il film.

Nella prima scena, la luce è data da una candela. Ma a far luce sono i suoi occhi che si illuminano al ricordo della prima notte trascorsa con Leon a soli 18 anni. Eccitazione e terrore. Un corpo che pulsava ed una mente che si apriva al nuovo.

Nell’ultima scena, torna la piccola stanza, ma a far luce non c’è più una candela ma una lampada ad olio. Cambia la luce, cambiano i tempi, la luce come  segno delle tante vite vissute.

C’è lo sguardo che, proprio come la luce, illumina più diffusamente; lo sguardo non è  acceso dal ricordo delle passioni giovanili, ma è uno sguardo maturo, che guarda lontano, nella consapevolezza di ciò che è stato.

Forse qui si ha la percezione che il senso della vita sia dato dalla stessa vita vissuta e dallo spazio che Sofia è riuscita a creare,  dove potersi ritrovare, riconoscersi, al di là dell’altro. Non solo la scrittura, mezzo prezioso di comprensione e comunicazione, ma il suo spazio.

E come non associare quello spazio intimo  i cui protagonisti sono:

il soggetto, la luce (la luce dello sguardo dell’analista) e la scrittura (forse riscrittura della propria vita),  allo spazio della stanza di analisi? .



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