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Psicoanalisi e Psicofarmacologia “Incontri ravvicinati del Quinto Tipo” con Angela Iannitelli - Report di Filippo Moscati

Secondo incontro del ciclo “Condizioni psicopatologiche: integrazione tra terapia psicoanalitica e trattamenti farmacologici” (19 aprile 2023)


Psicoanalisi e Psicofarmacologia “Incontri ravvicinati del Quinto Tipo” con Angela Iannitelli - Report di Filippo Moscati

La relazione complessa dell’analista con la terapia farmacologica: tra epigenetica, contatto con “l’alieno perturbante” e lavoro sul sogno. 

Nella serata scientifica del CPdR del 19 aprile 2023 “Psicoanalisi e Psicofarmaci: incontri ravvicinati del Quinto Tipo”, Angela Iannitelli, ricercatrice in entrambi gli ambiti, ha affrontato il tema del rapporto tra le due discipline.

La Psicoanalisi, che è nata grazie a Freud sul finire dell’’800 ed ha permesso di accedere all’inconscio; la Psicofarmacologia, che negli anni ‘50 è nata grazie ad una serie di imprevisti e di osservazioni cliniche fortuite, incidendo fortemente sul decorso delle patologie mentali.

Attualmente l’uso degli psicofarmaci è in crescita: nel 2021 il 19% degli italiani ne ha fatto uso, rispetto al 15% del 2013. Nonostante questo, in ambito scientifico si sta ridimensionando l’illusione che i farmaci siano ‘La Soluzione’ alle sofferenze mentali.

Angela Iannitelli ha sottolineato come i due ambiti abbiano fatto fatica ad incrociarsi: la Psicoanalisi è stata tesa a difendere la propria epistemologia e la propria crescita, fuori dagli apparati di potere, dedicata alla clinica e alla teorizzazione. La Psicofarmacologica si è mossa tra l’applicazione clinica (con interessi economici) e l’indagine sui meccanismi sottostanti al funzionamento dei farmaci e quindi delle patologie mentali.

Il sottotitolo della relazione prende spunto dalla “Scala degli incontri ravvicinati” elaborata dal fisico ed ufologo Joseph Alle Hynek nel 1972, che classifica gli incontri ravvicinati in 7 tipi. Il V tipo recita: “incontri bilaterali posti in essere tramite iniziative umane coscienti, volontarie e attive, o tramite la comunicazione cooperativa con intelligenze extraterrestri”.

Il farmaco può essere “Alieno” e perturbante per molti psicoanalisti, così come (inversamente) può esserlo la psicoanalisi per molti psichiatri. Tuttavia, ci sono stati molti studi che hanno dimostrato come i trattamenti congiunti siano più efficaci. Angela Iannitelli si è domandata: che cosa accade negli studi degli psicoanalisti?

Supportata dalla letteratura, ha riassunto la relazione complessa che uno psicoanalista può avere con la terapia farmacologica, la cui presenza può essere vissuta come “fallimento o come deviazione” dal processo analitico, un perturbante della relazione analitica. Un elemento concreto che potrebbe anche interferire con il transfert/controtransfert.

D’altra parte, molti altri Autori sostengono che i pazienti interessati al processo analitico tendono a continuare con la psicoanalisi indipendentemente dal fatto che siano stati prescritti farmaci. Per alcuni la soluzione dell’interazione problematica tra farmaco e transfert/controtransfert dipende principalmente da quanto (bene) l’analista sia in grado di riconoscerla e gestirla.

La prescrizione di farmaci in alcuni contesti si considera ancora una “manovra non autorizzata” che non viene, se non raramente, discussa nella maggior parte dei circoli psicoanalitici. Nonostante questo, nella pratica clinica l’uso sinergico di farmaci e analisi è ampiamente accettato.

I due approcci terapeutici hanno comunque delle sorprendenti analogie. Entrambi possono avere una lunga durata, entrambi hanno un loro setting (quello noto della psicoanalisi, e i tempi e le modalità di assunzione del farmaco), ed entrambi possono produrre un miglioramento che non compare immediatamente. Ancor di più, i due trattamenti sembrano stimolare analoghi meccanismi, e possono quindi funzionare sinergicamente.

Proprio su questo aspetto, Iannitelli sviluppa la parte più interessante del suo discorso, introducendo l’“epigenetica”, termine coniato da Waddington nel 1942.
Con esso si indica la disciplina che si occupa delle modalità di interazione tra fattori genetici e fenotipo e più specificatamente “la scienza che studia lo sviluppo e l’eredità in termini di interferenza tra l’informazione genetica e l’ambiente”.
Riducendo di molto il discorso complesso fatto dalla relatrice, ciò vuol dire che la risposa plastica all’ambiente ha una componente di ereditabilità e presenta una variabilità genetica.

Il dibattito tra quanto il nostro essere sia dovuto alla genetica (nature) e quanto influenzato dall’ambiente (nurture) in cui siamo allevati, perde di senso perché la possibilità di esprimere il potenziale che ereditiamo è strettamente legato all’ambiente in cui viviamo. E viceversa l’ambiente influenza e modifica la nostra espressione genetica in modo che questa modifica sia trasmessa nelle generazioni successive.

Sembrerebbe proprio che psicoanalisi e psicofarmaci agiscano entrambi a livello epigenetico.

Da un vertice epistemologico, l’epigenetica rappresenta il punto di convergenza del trattamento strettamente farmacologico e di quello puramente psichico. La loro integrazione è quindi necessaria sia per l’indagine eziologica dei disturbi mentali sia per strutturare gli approcci terapeutici più efficaci.

La relatrice, partendo dalla sua esperienza clinica di psicoanalista e psichiatra, si è domandata quali siano i modi in cui si può prescrivere una terapia farmacologica durante un trattamento psicoanalitico.

In letteratura ne sono descritti almeno tre:

  1. L’analista medico diagnostica una condizione di necessità di terapia farmacologica, la prescrive ed è responsabile del monitoraggio del dosaggio e degli effetti collaterali.
  2. L’analista ’invia’ il paziente a uno psichiatra, che prescrive e controlla il farmaco.
  3. Lo psichiatra prescrive il farmaco, ne è responsabile ed invia il paziente in analisi.

A questi tre, Angela Iannitelli ne aggiunge un quarto: l’analista invia il paziente per un eventuale introduzione di farmaci e si assume la responsabilità della prescrizione e del monitoraggio.
La scelta dei setting e delle modalità dipende dalla tecnica analitica scelta, dalla personalità del paziente, dalla diagnosi e dalla competenza del curante in fatto di farmaci.

Ci possono essere ovviamente molte posizioni in merito a queste possibilità. La relatrice ha raccontato il suo personale approccio, in cui nello scenario della visita psichiatrica ci sono non soltanto il medico, il paziente che soffre e l’”oggetto” malattia, ma anche un quarto personaggio: l’inconscio.

Per questo il setting che lei adotta è simile a quello di una seduta di analisi: Il tempo è lo stesso (45-50 minuti, anche per i controlli) talvolta utilizzando due “prime visite” per raccogliere la storia. In questa raccolta è prevista l’indagine dell’attività onirica che, anche solo nella sua produttività, è un riferimento per valutare l’effetto e l’efficacia di una terapia farmacologica. La presenza stessa del lettino nella stanza, per quanto non utilizzato, rimanda ad una dimensione altra che viene fantasticata e che facilita una comunicazione più profonda. L’ascolto tiene conto di elementi transferali e controtransferali.
La scelta del farmaco avviene seguendo una visione dimensionale della sofferenza mentale, e non quella categoriale del DSM (Manuale Diagnostico e Statistico dei disturbi mentali).
Pertanto, la valutazione sarà dei tratti e delle caratteristiche specifiche di quel paziente, da un punto di vista qualitativo ma anche quantitativo (ad esempio presenza e intensità dell’impulsività, della disforia, dell’ansia etc.), senza la pretesa di incasellarle all’interno di una singola diagnosi.

La psicofarmacologica psicodinamicamente orientata quindi fa una sintesi dei livelli più raffinati della psichiatria biologica con la elegante e irrinunciabile tecnica psicoanalitica.

L’arte, secondo la relatrice, è quella di usare i farmaci, per quanto possibile, a bassa posologia, mantenendo la sofferenza psichica tollerabile, facilitando il lavoro sul profondo, così come allo stesso tempo, questo tipo di lavoro sull’inconscio permette di tenere il dosaggio dei farmaci basso consentendone una sospensione più precoce.
Il raccordo tra psicoanalista e psichiatra psicoanalista prescrittore del farmaco è ritenuto centrale, anche se non necessariamente deve avvenire attraverso un contatto verbale.

È nella relazione con il paziente che ciascuno de due terapeuti sa come e su cosa l’altro sta lavorando.

Inoltre, l’esperienza psicoanalitica sulle resistenze psichiche può essere utile anche per la pratica psicofarmacologica. È necessario ricostruire la storia profonda del paziente e, se ci sono stati precedenti fallimenti della terapia farmacologica, lavorare sulla loro elaborazione. 
Riferirsi ai fattori consci e inconsci che interferiscono con gli effetti indesiderati del farmaco (la non aderenza e l’effetto nocebo). Inoltre, ci può essere una resistenza inconscia ad abbandonare i sintomi, con lo sviluppo di una reazione terapeutica negativa, che può essere anche il risultato di movimenti inconsci controtransferali.

La complessità della relazione ha stimolato l’uditorio, che ha contribuito alla serata con molte riflessioni e domande. Si è esplorata l’ipotesi dell’epigenetica come meccanismo del passaggio inconscio transgenerazionale del traumatico; si è di nuovo approfondito l’uso del sogno nella consultazione psichiatrica, che la relatrice sottolinea intendere come marker di mobilità dello psichico; si è sottolineato come molti degli elementi della relazione corroborassero alcune intuizioni  di Freud che, partendo dall’istopatologia e grazie alla sua passione speculativa, è approdato infine alla psicoanalisi; si è discusso di quali criteri utilizzare per la prescrizione dei farmaci, e come il modello psicopatologico psichiatrico possa differire dalle valutazioni psicoanalitiche.

Usciti dalla serata, l’impressione è stata quella che quanto ascoltato potesse entrare nei nostri studi, arricchendo la pratica clinica quotidiana con numerosi spunti. Ci auguriamo che questo sia stato il primo di molti interventi di valore su questo stimolante tema di lavoro. 

Filippo Moscati
 



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