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L’LSD, l’intellettuale parigino terribilmente elegante ed alcuni giovani risolutamente strani - di C.Buoncristiani e T. Romani

“Divenire montagna” depositando parti di personalità.


L’LSD, l’intellettuale parigino terribilmente elegante ed alcuni giovani risolutamente strani - di C.Buoncristiani e T. Romani

Metti una notte a Zabriskie Point. Venere che risplende in lontananza. Siamo nel 1975 e non è un film di Michelangelo Antonioni. Metti un giovane ricercatore della Claremont Graduate School, nella San Gabriel Valley, la parte più conservatrice della Contea di Los Angeles, che per un colpo fortunato del destino ottiene una sostanziosa sovvenzione pubblica per organizzare un programma di studi europei. Il suo nome era Simeon Wade. E in modo ancora più sconvolgente quel ragazzo riesce ad invitare nella sua università Michel Foucault, in visita alla Berkeley University, con la promessa di fargli visitare la Death Valley.

Metti allora una sera nel deserto, la migliore musica classica, la giusta dose di LSD, il suo compagno pianista, Michael, che sapientemente e con cura guida il “viaggio”.

I fatti sono rimasti per quarant’anni in un manoscritto a casa di Wade. Perché le cose verso la fine degli anni settanta si erano messe male per lui e Michael e a volte non essere conformisti in ambito accademico, istituzionale, ha degli effetti. Simeon aveva perso il suo impiego all’università. Insieme avevano provato a cavarsela, fino alla morte per alcolismo di Michael nel 1998. Dopo di che Simeon sparisce dai radar.

Stacco.

A Pasadena, sono passati circa 40 anni, una giovane studentessa Heather Dundas, rimane colpita nel leggere in una biografia di Foucault di quel viaggio con due sconosciuti. Non ci crede. Poi le viene un’idea. Lei odia la French Theory e immagina come sarebbe spassoso, quasi un divertissement, prendere in giro l’intellettuale parigino “che si cala gli acidi nel deserto”. Qualche anno dopo inizia a fare delle ricerche e riesce a rintracciare Wade. I due si conoscono in uno Starbucks ad Oxnard, cento chilometri da Pasadena.

Wade arriva su un pic up. È vecchio ormai, sdentato, cappelletto da baseball e jeans da operaio.

Lei è interessata al suo manoscritto, forse inizialmente pensando di parlare con un mitomane a cui una volta nella vita era capitato di conoscere una celebrità. Ma le cose si mettono in un modo differente. I due cominciano a conoscersi. Wade per Heather diviene Simeon e iniziano ad emergere dagli scatoloni dei ricordi le prime diapositive di Foucault con quei due giovani. Inizia a delinearsi una storia e l’idea del divertissement cede il passo ad una vera amicizia.

Sarà solo dopo la morte di Simeon che torneranno a galla le lettere a quel ragazzo inviategli da Michel Foucault, nell’arco di dieci anni, fino al 1984, anno della morte del filosofo. Foucault conserva il ricordo della sua avventura lisergica e di quella bella amicizia “Comment aurait-il été possible de ne pas aimer toi”[1].

E sarà solo dopo la morte di Simeon, 2017, che quel manoscritto verrà dato alle stampe.

Foucault in California è la storia di un viaggio on the road, filosofico e lisergico. Ma è anche molto altro a leggerlo con attenzione, la stessa che Heather ha voluto accordare a quel signore così strambo. C’è la California del Sud. Ci sono giovani come Michael e i suoi amici, che vivono come se fossero senza storia e senza famiglia, deterritorializzati in senso deleuziano, ma mantenendo un profondo rispetto per le connessioni con le montagne, l’oceano, il deserto. Viene in mente un rilancio di quel nucleo indifferenziato della personalità, l’originario, in un “quadro” animato/inanimato della cultura/natura. Un funzionamento simbiotico “muto” di cui Bleger parla come forma di legame tra l’individuo e il suo ambiente che partecipa alla tessitura e ri-tessitura del narcisismo primario.

Non è dunque solo il racconto un po' datato delle comunità taoiste in luoghi isolati nella Bear Valley. O le saune di San Francisco che vedevano la nascente comunità gay coltivare utopie possibili. E neanche i tanti discorsi filosofici nei quali Foucault si intrattiene con questi ragazzi, curiosi di sapere tutto, dalle opinioni del filosofo a come fossero nella vita quotidiana gente come Genet o Deleuze.

Nel racconto di quei giorni passati insieme troviamo una descrizione dell’amicizia molto potente che non può non farci pensare a come Foucault, nell’ultima fase della sua riflessione (L. Petrachi, 2022), abbia posto l’accento proprio sull’amicizia come legame e forma ulteriore di dispositivo. Egli pensava in effetti che si dovessero fabbricare altre forme di convivenza, di piacere e di legame. E l’amicizia diviene così un Fuori da perseguire con gentilezza e passione, per aprire nuovi percorsi di soggettivazione.

Lo vediamo così a casa di Michael e Simeon, per cena, mentre i ragazzi gli offrono una tequila sunrise e l’intellettuale parigino è curioso su come si prepara, dà una mano in cucina. Lo vediamo fumare una canna con gli studenti e raccontare, scherzando, di come dopo il dibattito ad Amsterdam in tv con Chomsky gli sponsor lo abbiano pagato in hashish, che portato a Parigi Foucault fumava con i suoi studenti chiamandolo l’hashish di Chomsky.

E poi in una fenditura tra due dune di blu turchese Foucault riflette con i suoi amici su come sia importante il rapporto con il corpo. In fondo noi siamo il nostro corpo… e dopo una pausa aggiunge: “Il nostro corpo e… qualcos’altro”.

L’impressione è che questo racconto on the road possa mostrare oggi una maniera di esistere, di quel “qualcos’altro”. È nell’etica che si rimane sempre all’interno dei modi esistenti (G. Deleuze, 1999), di un’accettazione profonda di ciò che esiste per il puro fatto che esiste. Un divenire che nell’etica ottiene riconoscimento, a differenza nella morale dove c’è bisogno di un bene trascendente con cui misurare le cose. La psicoanalisi, allora, ci verrebbe spontaneo commentare, è etica, mai morale. L’etica non cerca valori trascendenti, ma si muove solo su un piano di assoluta immanenza alla vita. Non giudica la vita.

Dunque il punto di vista etico potrebbe essere detto così: di cosa sei capace? Cosa ti è possibile fare? O per dirla con Spinoza letto da Deleuze: “Che cosa può un corpo?”.

Il bello è che non lo sapremo mai in anticipo, non sapremo come un corpo si organizzerà, così come non lo poteva sapere Michel Foucault quella notte nella Death Valley. Perché non parliamo mai di un corpo generico, ma di ciò che proprio tu puoi.

Seguendo questa riflessione possiamo chiederci allora quali saranno gli incontri che questo corpo farà e la storia che questo corpo incarna. Gli incontri saranno sempre portatori di un’eccedenza che chiede un lavoro psichico creativo. Un lavoro che, da una parte cerca di destrutturare, o slegare, ciò che è sclerotizzato; mentre dall’altra cerca di ricodificare e riterritorializzare. E’ in questa doppia oscillazione che si situa la dialettica tra un ordine favorito da strategie di organizzazione che si cristallizzano in dispositivi che tendono alla massima stabilità e una dismisura fatta da traiettorie di soggettivazione che seguono vie di fuga.

Vincono sempre le vie di fuga tra quei ragazzi e Foucalut, come se vedessimo all’opera incontri e corpi in una galleria di contatti sempre decentrati. Nel racconto ciò che emerge è la velocità degli affetti, contrapposta a questa stasi dell’ordine. Ogni affetto con cui quei ragazzi e il filosofo vengono in contatto sembra prendere la forma di un evento, un vettore collettivo che si espande come un verbo declinato all’infinito presente, indefinitivamente.

Perché ogni gruppo sociale veicola il proprio sistema di modellizzazione delle soggettività. “Una propria cartografia fatta di riferimenti non solo cognitivi, ma anche mitici, rituali, sintomatologici, a partire dalla quale si posiziona in rapporto ai suoi affetti e alle sue angosce e tenta di gestire le sue inibizioni e le sue pulsioni” (F. Guattari, 1979). Come se con ciò stessimo pensando meno ad un dualismo conscio/inconscio e più in direzione di un inconscio “produttivo” volto maggiormente verso le pratiche del presente che in direzione di fissazioni sul passato.

Ci sembra che il tentativo di quei tre giorni nella California del sud possa essere stato a posteriori quello di cogliere delle soggettività senza oggettivarle mai, ma nella dimensione propria di una creatività processuale.

Ci viene in mente un pensiero di Pascal che ben si addice a questa avventura di Foucault e quei ragazzi della California. “Non si riesce a immaginare Platone e Aristotele se non con gran vesti di pedanti. Erano invece delle persone comuni e ridevano, come gli altri, con i loro amici; e quando si sono divertiti a scrivere le Leggi e la Politica l'hanno fatto per divertirsi; questa era la parte meno filosofica e meno seria della loro vita, mentre la più filosofica era di vivere semplicemente e tranquillamente. Se hanno scritto di politica, l'han fatto come per dar norme per un manicomio; e se hanno finto di parlarne come di cosa seria, l'hanno fatto perché i pazzi a cui si rivolgevano credevano di essere re e imperatori, ed essi si immedesimavano dei princìpi di costoro per rendere la loro follia meno dannosa possibile”.

 

[1] Come sarebbe stato possibile non amarti. 16 ottobre 1978.



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