Attualità e nuove sofferenze

C’è Ancora Domani per le donne? Per Giulia no - di F. Salierno

Libere considerazioni sulla violenza sulle donne a partire dal film di Paola Cortellesi


C’è Ancora Domani per le donne? Per Giulia no - di F. Salierno

A passo di danza arrivano le botte. Come un gioco a ritmo di musica, viene rappresentato l’irrappresentabile. Non c’è un linguaggio, infatti, specifico, in grado di comunicare la violenza. L’atto violento segue solo quello del dolore. Che fa rima con orrore. E terrore. Questa è l’era dell’intelligenza artificiale, dell’amore virtuale, delle gite sulla Luna. Eppure si uccide a mani nude come i nostri avi del Neanderthal. Uomini uccidono altri uomini, come nelle guerre vicine, uomini uccidono donne. Tante. Troppe. Sempre di più. A fronte dei due milioni di spettatori che fino ad ora hanno visto il film, più di cento donne l’anno vengono ammazzate solo in Italia. Massacrate.

Come si uccidevano le donne di ieri, probabilmente si uccideranno quelle di domani. In un destino silente, che si eredita per generazioni. La scelta della regista di usare il bianco e nero, più che un richiamo al neorealismo, sembra imprimere su pellicola un vissuto scisso di emozioni. Lo splitting tra amore e odio. La confusione tra le due posizioni, la continua oscillazione tra bianco e nero, denota la continua permanenza in un’ambivalenza che sfocia nell’assoluta intolleranza. Dove la donna diviene solo contenitore di odio allo stato puro. L’oggetto d’amore deve essere eliminato perché intollerabile è la dipendenza da esso. Quindi preferibile è eliminarne le tracce, nell’illusione di poter perderne anche il bisogno stesso.

Giulia, la ragazza uccisa da Filippo a coltellate, è solo l’ultima, in termini temporali, che ha colpito il cuore e l’interesse degli Italiani. Era una giovane ragazza, irretita e incastrata in un rapporto che avrebbe voluto lasciarsi alle spalle. E, come lei, tutte quelle che non hanno potuto permetterselo. Giulia, diversamente dalla protagonista del film della Cortellesi, Delia, non potrà più scappare, correre verso il suo futuro. Delia, quei lividi nel cuore e sul corpo, li ha usati per porre le basi e l’esempio di una possibilità differente per la figlia stessa. Negli occhi di lei e nello sguardo di entrambe, l’una verso l’altra, la responsabilità di poter  pensare a se stesse, come donne, rendendosi soggetti attivi del proprio domani.

E se c’è ancora domani, è perché viaggia su una strada ancora da spianare, un terreno da percorrere ancora impervio. Fino a vent’anni fa, le donne non potevano denunciare gli abusi perché a rischio di essere tacciate di lascivia, a fronte della difesa di un patriarcato radicato e irrinunciabile. In nome del padre, figlie vengono destinate alla fatica di sostenere, sulle proprie spalle, la difficoltà di essere riconosciute come persone. Uccise nel corpo e nell’anima, anche solo perché colpevoli di voler fare scelte differenti da quelle a loro imposte. E troppe donne, ancora, scelgono, se la si può definire scelta, di restare in prigioni esistenziali per colpe inconsce  da espiare tutti i giorni della propria vita. Senza che la via della consapevolezza possa essere illuminata dalla ricerca di un aiuto esterno. O senza possibilità economica che possa rendere fattibile quella dell’autonomia. Di pensiero, ancor prima di vita. Ci piacerebbe pensare che gli uomini che uccidono siano solo dei mostri, relegandoli nel regno degli indicibili. In realtà, quelli sono parte di noi, del nostro modo di pensare, della nostra cultura. Figli, anche loro, di un analfabetismo emotivo su cui è possibile sempre intervenire.

Ma per ora piovono ancora pietre, sulle teste delle donne, in nome del padre. E in nome del figlio, ancora è troppo tutto ciò che viene declinato al maschile. Ci piace pensare a Delia, per sognare il domani della declinazione al femminile. Con il cuore rivolto a Giulia, la nostra piccola donna, che il suo domani non lo potrà vedere. E nemmeno sognare.



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