Storia di un femminicidio, del romanzo di Simenon (basato sul femminicidio), del film di Jacquot (basato sul romanzo) e delle accuse di violenza sessuale sul regista (che ha deciso di fare il film, che di fatto è un remake).
I FATTI, LA REALTÀ
George Simenon scrive il romanzo La Morte di Belle nel 1951.
Il primo adattamento cinematografico del romanzo fu realizzato nel 1961 dal regista francese Édouard Molinaro. Il film, intitolato La Mort de Belle (conosciuto anche come The Passion of Slow Fire negli Stati Uniti), è un thriller psicologico in bianco e nero che segue fedelmente la trama del romanzo.
Benoît Jacquot, il regista, ha deciso di adattare per il cinema il romanzo di Simenon nel corso del 2023. Dopo 62 anni dal primo film, il progetto di Jacquot è stato annunciato pubblicamente nel maggio 2023 durante il Marché du Film di Cannes, dove France TV Distribution ha avviato le vendite internazionali del film, ancora in fase di pre-produzione. Le riprese del film, intitolato Belle (noto in Italia come Il caso Belle Steiner), sono iniziate il 3 novembre 2023 e si sono concluse il 18 dicembre dello stesso anno. Benoît Jacquot ha completato la realizzazione del film prima che emergessero le accuse di violenza sessuale a suo carico. La pellicola è stata girata nel 2024 e ha debuttato nelle sale italiane nel marzo 202. Le prime accuse pubbliche contro Jacquot sono state mosse dall’attrice Judith Godrèche nel febbraio 2024, sostenendo di aver subito abusi sessuali da parte del regista quando era minorenne. Successivamente, altre attrici, tra cui Isild Le Besco, Julia Roy e Anna Mouglalis, hanno presentato denunce simili. Nel luglio 2024, la procura di Parigi ha aperto un’inchiesta formale e Jacquot è stato posto in stato di fermo per essere interrogato. Pertanto, Il caso Belle Steiner è stato completato prima che le accuse venissero rese pubbliche, ma la sua distribuzione è avvenuta in un contesto segnato dalle controversie legali e mediatiche legate al regista. In seguito a tutto questo, alla pellicola è stata negata la distribuzione in Francia.
Alla fine del film, compare un disclaimer in cui la produzione e la troupe dichiarano di condannare ogni forma di molestia e aggressione, esprimendo solidarietà alle vittime e sostenendo la libertà della loro parola. Questo messaggio appare prima dei titoli di coda e rappresenta una presa di posizione esplicita da parte del team del film riguardo alle tematiche di violenza di genere.
IL FILM, QUINDI IL ROMANZO, QUINDI IL REGISTA
Il caso Belle Steiner è un film che lascia un clima sospeso, e un pensiero inespresso, taciuto. La superficie narrativa, un uomo sospettato dell’omicidio di una giovane donna, è solo il punto di partenza per un’indagine più profonda: quella sul desiderio, sull’ambiguità, e sul ruolo dello sguardo degli altri. Il pregiudizio, il giudizio. Che il regista Jacquot enfatizza più di Simenon stesso, e lo mette al centro del film. Diviene super-io sadico, fonte di una sensazione di colpa intollerabile.
Il romanzo è in “stile simenoniano”, intimo e introspettivo, dove l’interesse è tutto rivolto alla dinamica interna del protagonista, i suoi pensieri, la sua angoscia, la sua crisi morale. Nel film Jacquot adotta una narrazione ellittica, asciutta, visiva. Il montaggio, la fotografia e l’uso dei silenzi trasmettono l’inquietudine più delle parole. La soggettività di Pierre è suggerita più che spiegata, come se lo spettatore fosse invitato a proiettarvi i propri sospetti. Poi il processo, il tribunale. L’attenzione va tutta verso il giudizio, quello proprio, quello degli altri.
LA FANTASIA, IL COLLASSO SULLA REALTÀ
Il protagonista, Pierre (Guillaume Canet), è un uomo apparentemente ordinario, silenzioso, forse passivo. Vive con la moglie Cléa (Charlotte Gainsbourg) in una routine borghese e ovattata. L’arrivo della giovane Belle, ragazza adolescente, rompe questo equilibrio. Non c’è bisogno che tra Pierre e Belle avvenga qualcosa di esplicito. Il solo fatto che lei esista, che lo guardi, che abiti la stessa casa, basta a generare un cortocircuito emotivo. Belle è il corpo del desiderio, e insieme l’oggetto irraggiungibile. Quello che non si può toccare, ma che è già colpa anche solo nel pensiero.
In questa dinamica si attiva il meccanismo centrale del film. Quando Belle viene trovata morta, Pierre diventa il capro espiatorio non perché colpevole, ma perché portatore di un desiderio inconfessabile. Il sospetto si basa sull’ambiguità: sul suo silenzio, sul suo sguardo, sul suo “non detto”. La società, rappresentata dalla polizia, dai vicini, persino dalla moglie, agisce come super io collettivo: giudica, accusa, sorveglia. E si fonde col super io di Pierre. Che è colpevole non di ciò che ha fatto, ma di ciò che potrebbe aver pensato.
La regia di Jacquot lavora proprio su questa tensione: la macchina da presa osserva Pierre, ma non ci permette mai di penetrarlo davvero. La sua interiorità è opaca, refrattaria all’empatia. Questo produce un effetto perturbante. Pierre è familiare e insieme estraneo, vicino e inquietante. È l’uomo qualunque che, improvvisamente, diventa il “mostro” agli occhi degli altri. Ma il vero mostro è l’ambiguità stessa, la zona grigia dove colpa e innocenza si confondono.
Il personaggio di Cléa, la moglie, è altrettanto interessante. Non è semplicemente “la donna che lo sostiene” o “la donna che dubita”: è un doppio specchio. Il suo sguardo interroga Pierre senza accusarlo, ma lo giudica comunque. È la relazione di coppia che funziona da campo di rivelazione. Cléa non rivela nulla apertamente, ma il suo silenzio agisce come pressione psichica costante. È lo sguardo dell’Altro, che costringe Pierre a confrontarsi con sé stesso.
Il film, come il romanzo, non offre una soluzione investigativa rassicurante. L’ambiguità è il suo punto di forza. Non importa tanto “chi ha ucciso Belle”, ma cosa il sospetto ha fatto emergere nei personaggi. La morte della ragazza è un evento traumatico che porta alla luce ciò che nella vita quotidiana resta sepolto: le pulsioni, la vergogna, l’angoscia del giudizio, il desiderio non controllato.
Non si può ignorare, dicevamo, il contesto in cui il film è uscito: le accuse di violenza sessuale rivolte al regista Benoît Jacquot, emerse dopo il completamento dell’opera. Questo dato biografico non può che amplificare il vissuto legato al film, introducendo una frattura tra autore e spettatore, e facendo risuonare in modo sinistro i temi dell’ambiguità, del desiderio, e della colpa. Il disclaimer alla fine del film, in cui cast e produzione si dichiarano contrari a ogni forma di violenza sulle donne, non basta a risolvere il cortocircuito, ma anzi lo mette in evidenza.
Tutto Il caso Belle Steiner, non è solo un film o un romanzo, ma sembra funzionare alla pari di un sogno. Denso di non detti, abitato da simboli, e profondamente disturbante. Come in un’analisi, la realtà non sta nei fatti, ma nelle fantasie.