A proposito della serata del 4 giugno "OGDEN LETTORE DI WINNICOTT" con Paola Catarci
Riprendendo la citazione iniziale di Ogden in Soggetti dell’analisi (1994), presente nel ricco e interessante lavoro di Paola, ho provato a leggere il suo scritto non solo nel tentativo di “considerare, soppesare o anche dedurre e provare le esperienze che la scrittrice propone”, ma cercando di mantenere viva la dimensione dell’“incontro molto più intima”. Nel lavoro di Paola si percepisce l’approfondita conoscenza teorica del pensiero di Ogden, ma anche la grande esperienza clinica di una psicoanalista a lavoro anche con i bambini e gli adolescenti, che mette in tensione la teoria con la clinica.
Nella lettura molto stimolante del suo scritto, mi sono soffermata ad approfondire il concetto di Terzo analitico e su questo punto ho provato ad allargare ulteriormente il campo, mettendo in dialogo la nozione di terzo analitico intersoggettivo di Ogden con quella di terzietà in Green.
Utilizzando concetti come l’oggetto e i fenomeni transizionali, lo spazio intermedio o la terza area, Winnicott ha formulato una nuova concezione della realtà. L'idea di una terza area, di uno spazio intermedio, uno in mezzo a due ha permesso alla psicoanalisi di lavorare su tre piani di esperienza, invece che su una dialettica a due poli (realtà esterna e realtà interna), aprendo alla dimensione dell’illusione, della creatività e dell’esperienza culturale.
Il concetto di terzo era ovviamente già presente nel pensiero freudiano, come afferma Pontalis in Tra il sogno e il dolore (1977), “il nostro regno è quello del tra due […] ha potuto dire Freud nel momento stesso in cui inventava la psicoanalisi”. In una nota, Pontalis rimanda infatti a una lettera di Freud a Fliess del 16 aprile 1896, in cui già si accenna al concetto di “regno intermedio” (Zwischenreich).
Winnicott successivamente definisce lo spazio intermedio come “una terza area della vita umana, né all’interno dell’individuo né all’esterno nel mondo della realtà condivisa” (Gioco e realtà, 1971). Per Winnicott, la psiche trova e crea contemporaneamente gli oggetti e il mondo. Lo psicoanalista inglese analizza sia lo spazio costruito nella relazione madre-bambino, sia quello presente nella relazione analista-analizzando. Tenendo presente le dimensioni positive dell'illusione e la necessità di riconoscere il ruolo della creatività nei processi costitutivi soggettivi, Winnicott opta per valutare e costruire concettualmente uno spazio intermedio, che è uno spazio di illusione. Questo spazio, che in origine è lo spazio per il gioco infantile dove è un piacere nascondersi ed essere trovati, è anche il luogo della creatività e il luogo futuro dell'esperienza culturale.
Ed è proprio questa concezione che Ogden riprende e rielabora nella sua idea del terzo analitico. In Soggetti dell’analisi (1994), Ogden afferma: “Il processo analitico riflette l’interazione di tre soggettività: la soggettività dell’analista, dell’analizzando e del terzo analitico. Il terzo analitico è una creazione dell’analista e dell’analizzando, e allo stesso tempo l’analista e l’analizzando sono creati dal terzo analitico Non c'è analista, né analizzando, nessuna analisi in assenza del terzo)”. Nel 1997, in Reverie e interpretazione, Ogden approfondisce questa idea: il terzo emerge dalla “ricettività inconscia” dell’analista, in uno stato di “sogno” bioniano che implica (una parziale) donazione della propria individualità separata a un terzo soggetto, che non è né l’analista né l’analizzando, ma una terza soggettività generata inconsciamente dalla coppia analitica. Ogden esplora inoltre la nozione kleiniano-bioniana dell’identificazione proiettiva, che considera come una dimensione onnipresente nell'intersoggettività. A volte dominante, a volte solo sullo sfondo, l’identificazione proiettiva provoca un parziale collasso delle soggettività individuali in un terzo analitico soggiogato (all'interno del quale le soggettività individuali dei partecipanti sono in larga misura sussunte). Un processo analitico riuscito implica la trasformazione di questo terzo e la successiva riappropriazione delle soggettività individuali in modo separato, ma interdipendente. Ciò avviene attraverso un riconoscimento reciproco, mediato dall'interpretazione dell'analista, che gioca un ruolo fondamentale nella ristrutturazione di queste soggettività (trasformate). In altre parole, come scrive Paola, lo psicoanalista statunitense è d'accordo con Winnicott quando afferma che all'inizio, la soggettività e la psiche individuale non coincidono: "Non esiste un bambino” (“There is not such think as a baby”) e suggerisce che l'appropriazione da parte del bambino dello spazio intersoggettivo rappresenta un passo critico nella creazione della capacità dell'individuo di generare e mantenere dialettiche psicologiche (ad esempio, di coscienza e incoscienza, di me e non di me, di io e di me, di io e di te) attraverso la quale è simultaneamente costituito e decentrato come soggetto (Ogden, 1997). Quando Ogden (1994) afferma che, da un certo momento di sviluppo, c'è una "appropriazione dello spazio intersoggettivo" da parte del bambino, suggerisce che la costituzione della soggettività non finisce mai. Lo stesso vale per il processo analitico: la fine di un'esperienza psicoanalitica non coincide con la fine della terapia. L'intersoggettività della coppia analitica si trasforma in un dialogo interno (un processo di interpretazione reciproca che si svolge nel contesto di un unico sistema di personalità).
Pur nella ricchezza e complessità del suo modello, il pensiero di Ogden resta radicato in una cornice intersoggettivista. Il rischio è che l’inconscio venga concepito come un campo co-emergente più che come una struttura organizzata e attraversata dal conflitto pulsionale e dalla mancanza. L’enfasi sull’esperienza condivisa può lasciare sullo sfondo le dimensioni profonde del negativo, del lutto, della discontinuità, fondamentali per la simbolizzazione.
È qui che il pensiero di André Green offre un contrappunto metapsicologico forte. Partendo dalla stessa frase di Winnicott — “There is no such thing as a baby” — Green aggiunge: “Non esiste una relazione madre-bambino”. Perché il terzo è presente fin dall’inizio, anche solo come rappresentazione nella mente della madre: è “l’altro dell’oggetto”, la funzione paterna implicita, simbolica. La terzietà in Green non è una co-creazione, ma una funzione interna che consente la distanza e la rappresentazione. È la condizione stessa per il pensiero.
Per Green, inoltre, il riferimento all'assenza è direttamente legato al concetto di negativo come ciò che non è presente; non percepito positivamente attraverso i sensi. In un lavoro pubblicato su International Journal of Psychoanalysis nel 1997 dal titolo “The intuition of the negative in Playing and reality”, Green stabilisce alcuni paralleli tra le proprie concezioni sul lavoro del negativo e alcune idee presentate da Winnicott nell'ultima versione del suo saggio su «Oggetti transizionali e fenomeni transizionali» pubblicata nel volume “Gioco e Realtà”. Lo psicoanalista francese sottolinea come vi siano già i germogli dell'intuizione del negativo nella teoria generale di Winnicott («possesso non-me», oggetto transizionale come oggetto non-seno). Citando Winnicott, afferma che: la creazione dell’oggetto transizionale è importante: "non tanto per l’oggetto usato, quanto per l’illusione che sia stato creato dall’individuo stesso che lo usa" (Winnicott, 1971). Il riferimento al negativo qui è legato al paradosso dell'esperienza: l’oggetto non è né completamente interno né completamente esterno, non è pienamente me, né pienamente non-me, ma si trova in uno spazio intermedio, in una zona di illusione che il bambino stesso ha creato, anche se in realtà l’oggetto gli è stato offerto. Nello stesso lavoro più avanti Winnicott afferma: “Il bambino può utilizzare un oggetto transizionale quando l’oggetto interno è vivo, reale e sufficientemente buono (non troppo persecutorio). Ma l’oggetto interno dipende, per le sue qualità, dall’esistenza, dalla vitalità e dal comportamento dell’oggetto esterno. Il fallimento di quest’ultimo in qualche funzione essenziale porta indirettamente alla morte psichica o a una qualità persecutoria dell’oggetto interno" (Winnicott, 1971). Dopo una persistente inadeguatezza dell’oggetto esterno, l’oggetto interno perde significato per l’infante e, solo allora, anche l’oggetto transizionale perde il suo significato (ibidem). Citando sempre Winnicott aggiunge: ”Se la madre è assente per un periodo di tempo che supera un certo limite, misurabile in minuti, ore o giorni, allora la memoria della rappresentazione interna svanisce. Con il manifestarsi di questo effetto, i fenomeni transizionali diventano gradualmente privi di significato e il bambino non è più in grado di sperimentarli. Possiamo osservare l'oggetto che viene distrutto" (ibidem). Questo svanire delle rappresentazioni interne è ciò che Green collega alla rappresentazione interna del negativo, una "rappresentazione dell'assenza di rappresentazione", che si esprime in termini di allucinazione negativa o, nell'ambito affettivo, come senso di vuoto, di mancanza, o in misura minore, di futilità, di insignificanza. In queste riflessioni è facile cogliere come il lavoro di Winnicott si sia molto avvicinato alla successiva descrizione di Green del concetto di “madre morta” (Green, 1986).
Per lo psicoanalista francese quando si pensa alla relazione precoce madre-bambino, in termini winnicottiani, ci si rende conto dell'importanza del contenimento. Quando avviene la separazione, il bambino è lasciato solo. La rappresentazione della madre può essere sospesa, e sostituita da molti sostituti. Quello che è di fondamentale importanza è la costruzione introiettata di una struttura di inquadramento [structure encadrante] analoga alle braccia della madre nel contenimento (holding). Questa struttura di inquadramento può tollerare l'assenza di rappresentazione perché tiene lo spazio psichico, come il contenitore di Bion. Finché la struttura di inquadramento “tiene” la mente, l’allucinazione negativa può essere sostituita dal compimento del desiderio allucinatorio o dalla fantasia. Ma quando il bambino si confronta con l'esperienza della morte, il telaio diventa incapace di creare rappresentazioni sostitutive, tiene solo il vuoto. “È la mente -continua l’Autore- cioè l'attività mentale che dà vita alle rappresentazioni, che è minacciata di essere distrutta, nel telaio. Altre volte è la struttura di inquadramento stessa a essere danneggiata”, in questo caso Green parla di “disintegrazione”. Egli scrive: “Le idee di Winnicott si avvicinano molto alle mie quando consideriamo le problematiche patologiche. Siamo entrambi d'accordo, per esempio, che come conseguenza di una separazione insostenibile, ciò che di solito viene descritto in termini di aggressività, rabbia, distruzione, ecc. può manifestarsi in un modo molto diverso. Con le sue parole, ciò che accade è uno ‘svanire della rappresentazione interna’ e, con le mie, un’allucinazione negativa distruttiva dell’oggetto". Quando Winnicott parla del lato negativo delle relazioni, intende “il fallimento graduale che il bambino deve sperimentare quando i genitori non sono disponibili” (Winnicott, 1971). Questa mancanza di disponibilità dei genitori dà origine a due esperienze diverse. Una è il sentimento della cattiveria dell'oggetto con tutta l'aggressività inclusa nel pianto, negli urli, nello stato di agitazione e turbamento; qui il negativo è identificato con il cattivo come l'opposto del positivo, cioè del buono. Altrimenti, questa indisponibilità è legata alla non-presenza dell'oggetto. “Si Noterà che non uso la parola assenza -afferma Green-, perché nella parola assenza c'è la speranza di un ritorno della presenza. Non è nemmeno una perdita, perché ciò significherebbe che la perdita potrebbe essere fatta oggetto di lutto. Il riferimento al negativo in questa seconda istanza è alla non-esistenza, al vuoto, al niente, in altre parole, alla vacuità”. “La non-esistenza ha preso possesso della mente, cancellando le rappresentazioni dell'oggetto che precedevano la sua assenza. Questo è un passo irreversibile, almeno fino al trattamento” (Green, 1997).
Dando continuità a questa linea di idee e includendo il potere delle nozioni di assenza, virtualità e potenzialità, Green arriva anche a considerare il setting analitico come un terzo. È un terzo che compone la complessità della situazione analitica con la dualità transfert-controtransfert. Il quadro analitico dipende, tuttavia, dalle condizioni dell'analista che mantiene la capacità di creare metafore, di rappresentare l'istanza paterna e la funzione simbolica della terzietà. Come indica Green, è il quadro che è stato interiorizzato nel corso dell'analisi dell'analista e che diventa decisivo. Oltre alla dimensione spaziale presente in questa concezione, è necessario aggiungere la dimensione temporale (la forma di riconnessione tra due esperienze che si verificano in momenti separati). “Qui -come sostiene Balsamo (2019)- troviamo il senso dell’insistente riflessione di Green sul valore dell’eterocronia nella costruzione dello psichismo, l’attenzione alla temporalità complessa della seduta psicoanalitica e la critica a ogni presentismo intersoggettivo che si illude di poter cancellare l’altrove, l’altro tempo, l’altro dell’oggetto, per delineare una scena certamente più rassicurante perché infinitamente più lineare”.
Green, dunque, in aperta critica con la psicoanalisi intersoggettiva afferma che ciò che conta non è solo l’incontro tra soggetti, ma la possibilità stessa di pensare l’assenza, il vuoto, la non-esistenza dell’oggetto.
Così, nella vignetta clinica presentata da Paola, il disegno co-costruito dalla terapeuta e dal piccolo paziente sembra rappresentare proprio una struttura inquadrante, con un contorno definito (di un colore diverso, verde) che contiene e vitalizza (colpisce il sorriso e lo sguardo vivo) il Sé del giovane paziente in formazione. offrendo, come dice Paola “una potenzialità che alimenti la crescita e lo sviluppo”. Pur nella consapevolezza dell’esistenza, come evidenzia la collega osservando il disegno del bambino e la sovrapposizione dei due disegni, di un eccesso, che attiene forse al pulsionale, che, per dirla con Green, deve essere negativizzato, per essere contenuto e divenire uno spazio potenziale per la formazione di un pensiero.
Colpisce poi il sintomo per il quale il bambino inizia il trattamento, la stipsi ostinata, che rimanda all’idea di Winnicott che aveva osservato come le feci potessero essere comprese tra gli oggetti transizionali e quindi fa pensare all’analisi come possibilità di rimettere in gioco la creatività bloccata del giovane paziente.
Riferimenti bibliografici
Balsamo M (2019) André Green Feltrinelli
Green A. (1975). The analyst, symbolization and absence in the analytic setting. Int. J. Psychoanal., 56: 1-22.
Green A.(1997) The intuition of the negative in Playing and reality Int. J. Psychoanal., 8, 1071-1084.
Green A (2004) Idee per una psicoanalisi contemporanea Raffaello Cortina
Ogden T. (1994). The analytic third: working with intersubjective clinical facts. Int. J. Psychoanal., 75: 3-19.
Ogden T H (1994) Soggetti dell’analisi Astrolabio 2024
Ogden T H (1997) Rêverie e interpretazione Astrolabio
Pontalis JB (1977). Tra il lutto e il dolore Borla 1988
Winnicott D. W. (1971) Gioco e Realtà Armando, .